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The Endless River

Regia di Oliver Hermanus vedi scheda film

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La recensione su The Endless River

di alan smithee
8 stelle

72° FESTIVAL DI VENEZIA - CONCORSO

Scorci paesaggistici sontuosi e da film western aprono il terzo lungometraggio del regista sudafricano Oliver Hermanus; molto presto una pioggia di titoli di testa enormi e dai caratteri vintage propri del genere western, dirompe sui paesaggi con un effetto piacevole che ci riporta indietro nel tempo.

Ci troviamo in Sudafrica, nei pressi della piccola città di Endless River. La vita di una cameriera timida e pacifica, nell’atto di andare a prendere dalla prigione il marito recluso da quattro anni per un episodio di furto, si incrocia per caso con quella di un giovane uomo di origine francese, trasferitosi in una fattoria poco distante il piccolo centro cittadino.

Un barbaro e sconvolgente episodio violento di effrazione, fa si che una banda di sconosciuti irrompa in casa dello straniero, uccidendo a sangue freddo i due figlioletti bambini e violentando, e poi massacrando, la di lui consorte.

Le conseguenze per l’uomo sono devastanti, complicate e peggiorate dalle indagini di una polizia sempre troppo inerte e senza soluzioni, che tuttavia non esclude che nel tremendo gesto possa escludersi, tra gli indiziati, il marito stesso, e come tale costringendolo ad un ulteriormente doloroso accertamento e prelievo di campioni organici per poterlo ufficialmente scagionare.

Mentre le indagini si arenano, l’uomo ha modo di intensificare la conoscenza con la cameriera di cui sopra, incontrata per caso nel fast food ove lavora. La donna è rattristata dal fatto che suo marito non pare comportarsi in modo molto differente dai tempi in cui fu arrestato, ancora oggi succube di compagnie balorde in grado di traviarlo ancora una volta.

Un ulteriore episodio di violenza non fa che avvicinare ulteriormente le vite dello straniero e della cameriera, uniti nel dolore potente ed impossibile da accettare, ma non per questo impossibilitati a trovare conforto, oltre che attrazione, l’uno nei confronti dell’altra.

Un viaggio di piacere e distrazione riunirà la coppia in un percorso di recupero in cui elementi estranei in grado di far rinascere istinti di vendetta e sospetti reciproci di implicazione nei rispettivi turpi eccidi, non impedirà tuttavia ai due di coltivare una passione in cui il piacere e il dolore prendono ad assumere sfaccettature molto similari e ad alimentare una attrazione probabilmente mai provata prima da entrambi con i rispettivi partners.

Endless River è uno studio efficace e drammatico sull’accettazione di una perdita che apparentemente lascia senza fiato, vinti e storditi nell’incredulità che lascia spazio all’orrore puro che prende tutti coloro che si sentono prevaricati e senza più alcuna forma di tutela e sicurezza.

La vicenda è raccontata con un ritmo solenne e quieto che non esclude il dolore, la rabbia, l’impossibilità di vivere una esistenza in pace godendosi i frutti dei propri più o meno grandi sacrifici spesi.

Tuttavia il film - dopo una prima parte noir piuttosto efficace e accurata, addirittura solenne nella sapiente percezione e rappresentazione di un palpabile senso del dolore, reso credibile nella sua talvolta dimessa, talvolta al contrario violenta modalità di percezione da parte di due esseri caratterialmente molto differenti, resi con aderenza e credibilità grazie anche all’indovinata scelta di due validi interpreti (Nicolas Duvauchelle è un francese che conosciamo piuttosto bene, interprete spesso impegnato con autori del calibro di Claire Denis. Crystal-Donna Roberts impariamo a conoscerla in questa occasione, ma il suo sguardo disperato ed afflitto dal dolore risulta intenso e credibile come si trattasse della splendida Viola Davis) - si lascia prendere dalla foga del racconto, sviluppando l’avvicendarsi di un rapporto d’amore, quasi una fuga dagli orrori vissuti da parte dei due protagonisti, che spinge la storia su binari forse un po’ poco plausibili.

'The Endless River' Photocall - 72nd Venice Film Festival

Nonostante ciò, il fascino maledetto della cupa vicenda, lo stile solenne e fosco, a tratti quasi caricaturale, insomma da western crepuscolare che viene ad assumere la narrazione, come avevamo intuito già dall’accennato stile eccentrico dei titoli di inizio, nonché in generale la sorpresa di scoprire positivamente un autore a noi nuovo, ci restituiscono nella sua globalità un’ottima impressione del film nel suo complesso, mettendo da parte alcune delle perplessità di contenuto che formalmente non possono non risaltare verso la fine, dopo una prima parte pressoché impeccabile.

 

 

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