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L'assassino è costretto ad uccidere ancora

Regia di Luigi Cozzi vedi scheda film

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La recensione su L'assassino è costretto ad uccidere ancora

di moonlightrosso
5 stelle

Un genere che il Cozzi avrebbe dovuto frequentare con maggiore assiduità.

Il bustocco Luigi Cozzi, classe 1947, da sempre appassionato di fantasy e fantascienza, ebbe a dimostrare nel thrilling indubbie capacità, genere che, ad avviso di chi scrive, avrebbe dovuto frequentare con maggiore intensità.

Entrato nei primi anni settanta nelle grazie di Dario Argento (ex "golden boy" del cinema italiano) e dopo aver diretto "Il vicino di casa", definito giustamente l'episodio più riuscito della serie televisiva "La porta sul buio", ideata e curata dallo stesso Argento, il Cozzi ricevette incarico da tali Umberto Linzi (sic!) e Giuseppe Tortorella di realizzare un giallo che prendesse spunto proprio da quel soddisfacente mediometraggio.

Realizzato nel 1973 come "Il ragno" e uscito soltanto due anni dopo diversamente intitolato ed epurato dalla retriva censura dell'epoca quanto alle scene più violente e a più alto contenuto erotico, il film si distacca dai tradizionali clichès del giallo all'italiana proponendoci sin da subito, come del resto fece Alfred Hitchcock nel coevo "Frenzy", sia le identità dell'assassino e del suo mandante, sia il movente degli omicidi.

Giorgio Mainardi (un George Hilton come al solito doppiato dalla voce calda e suadente di Pino Locchi) è un architetto donnaiolo e pieno di debiti che vive alle spalle di una ricca moglie (Teresa Velasquez), figlia di un facoltoso industriale. Questa, stufa degli scriteriati prelievi bancari e soprattutto dei continui tradimenti, decide, dopo l'ennesima lite, di impedire al marito ogni accesso ai conti correnti. Uscito improvvisamente di casa minacciando di non far più ritorno, il fascinoso professionista si imbatte casualmente in un uomo (un inquietante Antoine Saint-John) sorprendendolo mentre getta in un canale un'automobile con all'interno il cadavere di una donna. Cogliendo la palla al balzo, il Mainardi, affrontando il losco figuro, deciderà di offrirgli la bellezza di venti milioni di vecchie lire, che estorcerà al ricco suocero, per ripetere il misfatto con la sua poco adorata consorte. Dopo aver strangolato la donna, come da istruzioni ricevute e dopo aver posizionato il cadavere nel portabagagli della sua "Mercedes", il poco avveduto killer si vedrà rubare la detta autovettura, lasciata inavvertitamente aperta e con le chiavi inserite nel cruscotto da due fidanzatini. Ne rivestono la parte il bel tenebroso dei fotoromanzi Alessio Orano, marito all'epoca di un'ancor poco nota Ornella Muti e l'ex ninfetta della "Solange" di Dallamano Christina Galbo. Nel frattempo il Mainardi, allo scopo di crearsi un'alibi, si diverte a una festa intrattenendo brillantemente gli altri invitati con barzellette e freddure a metà tra il becero e l'agghiacciante. Il criminale invece, rubata a sua volta una veloce autovettura, raggiungerà la giovane coppietta in una magione abbandonata e isolata in riva al mare e nella quale si consumeranno violenze e nefandezze d'ogni sorta, sulle quali preferisco non anticiparvi nulla.

Ispirato, a detta del Cozzi, a un romanzetto svelto di Giorgio Scerbanenco dal titolo "Al mare con la ragazza", il film in realtà ne conserva unicamente il furto dell'auto da parte di due giovani desiderosi di recarsi al mare e la camicia quadrettata da "ganassa" indossata dall'Orano. Totalmente disinteressato al tessuto sociale di provenienza dei due protagonisti, contrariamente a quanto accade nel romanzo, il copione vergato dal Cozzi in collaborazione con Daniele Del Giudice (e ufficiosamente anche con l'esperto Adriano Bolzoni) abbandona i toni consolatori, didascalici e un po' stucchevoli dello scrittore ucraino e milanese d'adozione per immergerci in una realtà cinica e politicamente scorretta.

Se il Duilio, protagonista scerbanenchiano, si imbatterà in cavallone sfigate e perdutamente innamorate di isterici managers, il Luca del film dovrà buon per lui confrontarsi, oltre che con una virginale Galbo, anche con una Femi Benussi rimasta in panne con la sua automobile, abbigliata con pelliccetta e stivale, nonchè acconciata con una parruccazza bionda talmente appriscente da far invidia alle più scafate prostitute da strada. A sottolineare la sua prorompente e fisica sensualità, la plumbea colonna sonora di Nando de Luca si lascerà improvvisamente andare con estrema disinvoltura a quei registri assai più leggeri e scanzonati da commedia scollacciata, per non dire pecoreccia. La conseguente e prevedibile copula nell'abitacolo della Mercedes tra il bell'Orano e l'indiscussa reginetta della nostrana serie Z del periodo, con tanto di dettagli anatomici della nostra mentre si sfila i collant, si alterna a straniante contraltare alla violenta deflorazione perpetrata dall'assassino ai danni di Christina Galbo all'interno della villa abbandonata, in un gioco di montaggio decisamente notevole. Tonalità plumbee che ritorneranno ad accompagnare la triste conclusione della performance non esattamente cerebrale della divina Femi, quando sarà, dopo aver scoperto il cadavere nel portabagagli, inevitabile vittima sacrificale del lugubre Saint-John dalla stessa scambiato per una presenza "rassicurante".

Mi sia consentito chiosare un paio di curiosità:

- le immagini a cui assistiamo nel cinema in cui si incontrano George Hilton e Antoine Saint-John per discutere i dettagli del crimine da compiere provengono dal film sperimentale "Il tunnel sotto il mondo", opera prima del Cozzi datata 1969 e presentata con esiti non esattamente esaltanti a vari festivals; in particolare lo pseudo-messia che vaticina in maniera farneticante sulla fine del mondo e deliri vari altri non sarebbe che il compianto montatore Alberto Moro, amico del regista e che prese parte in qualità di attore in questa disavventura;

- l'accendino con cui cincischia George Hilton riporta curiosamente le iniziali D.A., che qualcuno ha riconosciuto come un omaggio a Dario Argento, mentore e in parte pigmalione del Cozzi.

Riallacciandomi in ultimo al discorso iniziale, il Cozzi, dopo quest'esperienza, smise nostro malgrado di frequentare il giallo approdando a una manciata di films (le famose "cozzate") di quella fantascienza da lui tanto amata ma dagli esiti imbarazzanti, anche per ovvie ristrettezze di budget.

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