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Giallo a Venezia

Regia di Mario Landi vedi scheda film

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La recensione su Giallo a Venezia

di moonlightrosso
7 stelle

Il cinema è anche "Giallo a Venezia"!

Estraniandomi dal coro e rischiando il linciaggio, in tutta onestà intellettuale affermo a chiare lettere che "Giallo a Venezia" è un buon film di genere, che vedo e rivedo sempre con grande e rinnovato piacere.

Punta di diamante di una squinternata pentalogia realizzata da Gabriele Crisanti con budgets miserrimi, alla quale si uniscono, per la cronaca: due horror di Andrea Bianchi, indiscusso oligarca della nostra serie Z, come "Malabimba" (1979), strampalata rivisitazione in chiave proto-hard de "L'esorcista" (oltre 500.000.000 di incasso, chapeau!) e "Le notti del terrore" (1980), declinazione poveristica del genere dei "morti viventi" all'epoca assai in voga; "Patrick vive ancora" (1980), anch'esso di Mario Landi, sequel apocrifo dell'australiano "Patrick" (1979) di Richard Franklin, che sacrifica atmosfere e psicologia dei personaggi, privilegiando aspetti pruriginosi e gore; "La bimba di Satana" (1982) a firma di Mario Bianchi, ultima pellicola non solo in ordine di tempo ma in tutti i sensi, di cui è stata recentemente recuperata anche una versione hard per il mercato estero.

Lo sceneggiatore Aldo Serio, ispirandosi probabilmente a certa fumettistica per adulti rinvenibile sino a qualche decennio fa in gran copia presso i saloni da barbiere e che rendeva gradito l'attardarsi nei bagni delle scuole o delle caserme, verga un copione a suo modo originale, nonchè abbastanza intrigante e lineare. In dettaglio, la storia ripercorre in flashback la vita di Fabio e Flavia, due coniugi sessualmente piuttosto fuori dagli schemi, trovati misteriosamente uccisi al quartiere veneziano della Giudecca; ne rivestono i ruoli il carciofo umano Gianni Dei e l'ex ninfetta Leonora Fani; quest'ultima, sempre più a corto, con l'avanzare dell'età, di scritture importanti, nella prima metà degli anni ottanta sparì definitivamente dal firmamento del cinema minore nel quale era stata giustamente relegata, a causa di capacità attoriali ed espressive a onor del vero assai limitate. Le indagini condotte dal commissario De Pol (un simpatico Jeff Blynn) faranno emergere una congèrie di sordidi personaggi frequentati dai due: una coppia scambista con la quale si incontravano, formata dal pregiudicato Marco e dalla matura Marzia (un'ancor piacente Mariangela Giordano); una prostituta anch'essa coinvolta nei loro giochi erotici; uno studente universitario respinto da Marzia che inizia a stalkerarla (quel Michele Renzullo futuro fondatore della "Compagnia della Rancia", che non credo ricordi con piacere questo peccato di gioventù); il disegnatore Bruno Nielsen (nella persona del greco Vassili Karamensis), ex fidanzato e valvola di sfogo di Flavia, esasperata dalle continue perversioni del marito, che la costringe, per eccitarsi, a rapporti sempre più aberranti.

Approfondire il motivo per il quale Mario Landi (1920-1992), conosciuto come uno dei registi più importanti e innovativi della televisione italiana dei primordi, di cui ricordiamo, fra l'altro, la prima edizione di "Canzonissima", "Un due tre!" con Tognazzi e Vianello e il serial "Le inchieste del commissario Maigret", si sia fatto coinvolgere in fine di carriera in produzioni di tal fatta, poco ci importa. Fatto sta che il cineasta messinese, con consolidate professionalità ed esperienza, asserve al meglio un produttore cresciuto alla scuola di Fortunato Misiano, anch'egli messinese, che carpiva i desiderata del pubblico, volgendo lo sguardo, più che allo schermo, agli spettatori presenti in sala. Un atteggiamento semplice e geniale al contempo che gli ha consentito di cogliere al meglio i gusti delle sale parrocchiali e dei pulciai di periferia fruitori delle numerose pellicole a basso costo della sua "Romana Film": "pepla" d'accatto, westerns derivativi, apocrifi Zorro.

Nel farsi portavoce ed interprete di tutto ciò che lo spettatore medio si aspetta da un film del genere, il Landi ha avuto il merito di aver creato un giusto pathos nei novanta minuti che precedono la soluzione dell'omicidio della coppia. Il film infatti scorre con disinvoltura tra delitti dai dettagli decisamente gore (vedasi Marco arso vivo, la prostituta accoltellata al basso ventre o ancora una Giordano sezionata con una sega sul tavolo da cucina) e virate erotiche ai limiti dell'hard (tra cui una lunghissima scena di autoerotismo della Fani, davvero notevole!). Il tutto musicato dalla struggente colonna sonora di Berto Pisano, ancorchè riciclata dal precedente "Interrabang" (1969) di Giuliano Biagetti. Un ulteriore punto di forza si ravvisa anche nell'atmosfera relativamente scanzonata che pervade l'intera pellicola, segno evidente che il Landi non si si sia preso eccessivamente sul serio, puntellata da numerose trovate volutamente trash: basti pensare alla figura del commissario De Pol, soprannominato Maigret a rimembranza dei periodi professionalmente più felici del regista. Mangiatore accanito di uova sode alla Kojak, si serve, per rompere i gusci, della pipa dell'ottuso assistente Mestrin (un delizioso Eolo Capritti). Personaggio portato ad infrangere la drammaticità degli eventi con straniante e inopportuno umorismo nero, raggiunge il sublime con la risposta "peggio per lei!", quando il sosia di Marcello Mastroianni, Giancarlo del Duca, nel ruolo di un assai poco professionale medico legale, rivela al di là di ogni rigore medico scientifico, come Flavia, trovata morta, non indossasse le mutandine!!!

Non ultima, in fatto di trash, anche la scena in cui il carciofesco Gianni Dei, nella parte di Fabio, eccita la moglie Flavia stuzzicando con un grissino una cozza aperta a mo' di vulva.

Circolato sino a poco tempo fa solo in videocassetta ed in alcuni dvds piratati di scarsa qualità, il film è stato recentemente restaurato e distribuito addirittura in blu-ray dai tedeschi in edizione ultraintegrale, contenente anche una scena esplicita di masturbazione maschile montata per l'estero, presente in passato unicamente in una rarissima video brasiliana.

In definitiva "Giallo a Venezia" rimane un titolo imperdibile per chi voglia reimmergersi in un periodo di soluzioni estreme ed estremizzanti realizzate al solo scopo di giustificare al pubblico il modico prezzo del biglietto, il tutto senza dietrologie e senza quell'autorialità a tutti i costi e un tanto al chilo, per insegnarci che il vero cinema, signori miei, può essere anche questo!!!

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