Regia di Luca Ferri vedi scheda film
Figura d’obeso candore in paesaggio geometrico, residuo di vita nell’apocalisse che c’è già: Abacuc è l’ultimo uomo sulla terra padana, figura tenera e ubuesca tra i sepolcri. Superstite in un teatro dell’assurdo in cui non s’aspetta Godot, povero cristo silente, in cerca d’udienza che non prevede né papa né dio. La rovina è una categoria dello spirito. L’Italia in miniatura non è allegoria: è un dato di fatto culturale. L’amore, impossibile, è per se stessi. Luca Ferri registra in 8 mm l’incedere di Dario Bacis in quadretti funerei e dementi. La colonna sonora del maestro?Dario Agazzi sciorina estenuanti loop di frasi dette da voci sintetiche, raffinato scialo di citazioni e sentenze, di musica che inceppa la sicumera lirica o drammatica nel singulto, nel nonsense. Ed è tutto un movimento idiota che ci restituisce ghignando gli automatismi del cinema: arte lombrosiana (nel senso di Cesare: qui si ride per uno strabismo, voi parlate sovente di physique du rôle), bastimento di drammaturgie a buon mercato, di pose culturali ingessate, di sedicenze, di rapporti audio/video nel nome di Pavlov. E in tutto questo nichilismo, in questa parodia schiacciasassi, in questo nulla sfinente, l’essenza primitiva del cinema s’esalta: tragico e comico sono nel semplice esserci di un Fatty Arbuckle leggiadro, nelle linee insensatamente raziocinanti dell’architettura, nei graffi dell’audio sul video, nel montaggio controtempo. È un circolo vizioso: contro il cinema, per il cinema.
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