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Tex e il Signore degli Abissi

Regia di Duccio Tessari vedi scheda film

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La recensione su Tex e il Signore degli Abissi

di scapigliato
8 stelle

Gianluigi Bonelli tiene a battesimo l’approdo cinematografico della sua creatura di carta più famosa. Tex Willer arriva sul grande schermo dopo 37 anni dalla sua nascita e 7 anni prima di Dylan Dog con “Nero” del 1992. È lui il vecchio capo indiano che apre e chiude il film declamando, in una caverna attorno ad un fuoco, le gesta di Aquila della Notte. Dopo di che il film inizia. Inizia silenzioso, morbido, quasi per introdurci in una dimensione che non è quella solita del cinema western di casa nostra. In effetti “Tex e il Signore degli Abissi” è del 1985, dieci anni dopo il film che chiude il ciclo corposo degli spaghetti-western, il “Keoma” di Castellari del 1976. Siamo in pieni anni ’80, dove il genere che va per la maggiore in Italia è l’horror, purtroppo senza i sussulti di quello targato ’70, e di conseguenza un film d’avventura è buona cosa che abbia dentro degli elementi terrorifici se non proprio horror. Ed è quello che succede al nostro “Tex...” per il quale l’equipe di sceneggiatori sceglie proprio di raccontare le avventure legate al filone magico e del mistero, che nella serie fumettistica piace molto ai propri lettori. Così, seppur senza Mephisto o Yama, ecco che arriva il Signore degli Abissi, figura inquietante che ricorda un Re lebbroso decaduto e decadente, e che nulla può in confronto all’altro villain del film, il sacerdote Kanas. Più presente, più incisivo, più cattivo, Kanas è il “cattivo del film”, anche se alle sue dipendenze c’è un volto noto dello spaghetti-western, Aldo Sabrell nel ruolo di El Dorado. Piccola parte anche per un invecchiato Frank Braña e per Isabel Russinova. Ma il ruolo che più convince, che più piace, che più è stato azzeccato è quello di Kit Carson interpretato da William Berger. La sua caratterizzazione è da manuale supera notevolmente quella stucchevole di Gemma che ha fatto molto meglio in altri ruoli. Qui, purtroppo, “faccia d’angelo” non riesce a personalizzare il personaggio più emblematico dell’immaginario fumettistisco e non italiano, e lo fa vivere con un’involontaria vena parodica. Le battute, le posture e i gesti sono imitatissimi, ma non funzionano. Bellissima la scena in cui salta fuori da una finestra. Ma tutto qui. Il resto dell’apprezzamento va al Kit Carson di William Berger e alla regia di Tessari. Il film ha qualche passaggio maldestro, qualche filo narrativo poco ben teso, ma nel complesso è ben confezionato, anche per una scelta iconografica e una bellezza compositiva delle inquadrature che non solo sanno di fumetto, ma anche di grande cinema dal grande appeal visivo. Una bella fotografia calda e soleggiata che cozza con le ombre e i bui di interni come la casa del Morisco o le caverne del Signore degli Abissi. Un buon film che si vede senza annoiarsi, anche se la seconda parte è un po’ pedante, e che promette una suggestione visiva che agli amanti del western, del nostro western torrido e della Spagna dell’Almeria, non può lasciare indifferenti.

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