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Dio esiste e vive a Bruxelles

Regia di Jaco Van Dormael vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Dio esiste e vive a Bruxelles

di laulilla
6 stelle

Bruxelles non è solo la una sede importante per gli stati europei: è la sede di un dio bizzarro e cattivo, che si diverte a seminare discordie e a veder soffrire la gente... Film leggero - non un capolavoro - a tratti gradevole, attualmente visibile in streaming.

 

Dio (Benoît Poelvoorde), in questo film, è forse quello del Vecchio Testamento; egli vive a Bruxelles in una casa di poche stanze, una delle quali, solo sua, è un agghiacciante luogo claustrofobico, che tra le pareti, arredate con cassetti inaccessibili pieni delle memorie millenarie delle sue malefatte, ospita il computer, grazie al quale egli progetta le peggiori catastrofi per l’umanità, quelle che, in seguito, per divertirsi e svagarsi un po’, osserverà alla TV, davanti alla quale passa le sue giornate.

 

Egli è un dio molto strano, trasandato e sporco, prepotente e dispettoso, oltre che terribilmente maschilista: dopo aver creato il mondo, egli aveva plasmato l’uomo a propria immagine e gli aveva affiancato una donna, col compito di sottometterla, come aveva fatto lui con la sua compagna (Yolande Moreau), casalinga infelice, obbligata a ubbidirgli, sempre e comunque, senza alcun diritto, né sindacale, né di parola.

Gli aveva dato due figli, quella poveretta: un maschio, JC, che se n’era andato per agire di testa propria (infatti, con l’aiuto degli Apostoli si era permesso di scrivere un Nuovo Testamento) e una femmina, ancora piccola ma con idee ben chiare, ribelle e riottosa, di nome Ea (Pili Groyne).


Anche la piccina vorrebbe fuggire come JC; ci terrebbe, anzi, ad aggiornare il Nuovo Testamento: a questo scopo si era impadronita di soppiatto delle chiavi della stanza paterna, dalla quale, via sms, aveva inviato a ciascun uomo la comunicazione anticipata della data di morte, dopo di che, in modo avventuroso, seguendo un disagevole percorso, era arrivata, come Alice, dall’altra parte del suo (fortunatamente perduto) paradiso.

Non le sarebbe stato difficile trovare gli apostoli (parecchie le donne), che col racconto della loro vita le avrebbero permesso di mettere insieme il Nuovo Nuovo Testamento.

Il film procede accumulando personaggi e situazioni: ogni nuovo evangelista ha una storia da raccontare, nonché un lasso di tempo più o meno breve per continuare a vivere: conoscendone la scadenza, si organizzerà al meglio, sotto gli occhi benevoli di Ea, che, in quanto donna, è ... mite e intende lasciare al mondo un messaggio di giustizia e di compassione.

 

Il grande tema del dolore sembra dunque risolversi in una rappresentazione leggera e ironica, quasi stemperandosi in una favola per adulti, graziosa e talvolta assai divertente. Gli aspetti dissacranti sono lontani da qualsiasi blasfemia, nonostante qualche citazione di Buñuel, il cui corrosivo e graffiante agnosticismo rimane, comunque, molto esterno al film.

 

Le invenzioni argute e brillanti non mancano e neppure gli sprazzi di intelligente osservazione che rendono il film gradevole, pur non facendone un capolavoro. La sua innegabile piacevolezza è, infatti, dovuta in gran parte alla grande e spiritosa interpretazione degli ottimi attori, fra i quali spiccano Catherine Deneuve, nella parte dell’evangelista moglie di un tenero gorilla, nonché l’eccellente Benoît Poelvoorde, nella parte di Dio, che riempie giocondamente il suo cielo vuoto guardando lo spettacolo dell’umana sofferenza.

 

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