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Gli ultimi giorni nel deserto

Regia di Rodrigo Garcia vedi scheda film

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Tato88

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La recensione su Gli ultimi giorni nel deserto

di Tato88
8 stelle

Finalmente un film decente alla Berlinale! Ok, non è proprio in una delle selezioni ufficiali, bensì in una proiezione privata riservata ai buyers del festival. Come è andata questa proiezione? Parecchio male, dato che nel corso del film ha perso oltre due terzi degli spettatori. Certo, non è un film che si presta ad una facile distribuzione. Il tema fortemente religioso (anche se fuori dagli schemi del buonismo ingenuo ma più vicino al crudo realismo di Gibson, Scott e Aronofsky) e la prolissità delle silenziose camminate del "santo uomo" di cui non viene mai pronunciato il nome collocano sicuramente questa pellicola fuori dai circuiti mainstream, pur mantenendo alcuni elementi tipici del miglior prodotto hollywoodiano (fotografia e regia da urlo, la star di richiamo). A questo proposito riterrei la scelta di McGregor azzeccata: il film inizia con alcune immagini del deserto che, come si usa dire "è uno dei protagonisti dell'opera" e che ricorda per certi versi Tatooine, per poi spostarsi rapidamente sul primo piano dell'attore che sembra anch'egli un reduce di Guerre Stellari (e va bè...). Subito si è portati a urlare al "poser". Perché è ovvio, quello non è Gesù, è Ewan McGregor con i capelli lunghi! Ero sicuro che niente avrebbe potuto convincermi del contrario, e invece ho dovuto ricredermi. La presenza di un attore noto aiuta a superare la noia di certe inquadrature, sì belle ma esageratamente statiche e riflessive (questo è lo star power!). E i riferimenti a Star Wars non si limitano solo al deserto e al protagonista, ma anche il regista tende ad inquadrare Gesù dal basso o in contemplazione di un mondo da salvare come se fosse un moderno supereroe pronto a sfoderare una spada laser da un momento all'altro. E come i moderni supereroi non è invincibile. Al contrario, è debole, pieno di timori e di tentazioni.

Cioè che più sorprende di Rodrigo García, di origine colombiana, è l’enorme salto tematico e stilistico rispetto al suo film precedente “Albert Nobbs”. Sebbene sia sempre alle prese con personaggi che preferiscono dosare bene le loro parole o che si tormentano su svariate questioni, stavolta il regista affronta il tema dell’intimità in modo molto più visivo e visionario, ricorrendo senza timore ad alcuni effetti speciali. E gli effetti speciali di cui fa uso García sono quelli di chi ancora sta testando gli strumenti a sua disposizione ma riesce a farlo con eleganza e disinvoltura (ricorrenti e variegati sono i campi a due o tre personaggi tagliati in modo diverso, dal primo piano alla figura intera, e tutti contemporaneamente a fuoco senza sbavature di mascherini; oppure le numerose conversazioni di Gesù con se stesso con sdoppiamento dell'attore; e poco più...).

Come già accennato in partenza, il montaggio è l'unico aspetto che fa storcere il naso in quanto rende tutto molto lento e mellifluo anziché "sospeso", come immagino che invece fosse nelle intenzioni del regista.

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