Regia di Francesca Archibugi vedi scheda film
Quattro amici di sempre, che si conoscono fin dall'infanzia: Claudio, l'artista stravagante, Paolo, professore di Letteratura e intellettuale di sinistra, Sandro, agente immobiliare arricchito, e e sua sorella Betta che ha sposato Sandro.
Sono tutti a cena a casa si Sandro e Betta per assistere o partecipare alla scelta del nome che Sandro avrà da Simona, una scrittrice alle prime armi ma che è ha pubblicato un libro che è diventato un best-seller.
Apparentemente sanno tutto di tutti loro, ma scopriranno presto quanti segreti reciproci si nascondono.
Tratto da una piéce teatrale, da cui era già stato ricavato un film francese tre anni fa (che non ho visto), mi dicono che la Archibugi abbia mantenuto le fondamenta del soggetto originale, ma lo ha profondamente adattato alla realtà italiana.
La Regista dipinge infatti un gruppo di persone alla soglia dei 50 anni e prova a tracciarne una linea evolutiva che parte dal passato adolescenziale e si proietta nel futuro con la nascita del bebè di Simona-Ramazzotti (nascita "vera", come vera era la gravidanza).
A me è venuto in mente come primo riferimento "Il grande freddo" di Kasdan: anche lì amici storici (però più giovani), e con una casuale estranea al nucleo originario, si incontravano per una circostanza accidentale e descrivevano come li aveva trattati la vita; ma "Il nome del figlio" è più intimistico e meno politico; più personale e meno esistenziale.
Invece questo film ci parla di noi, dei conti che abbiamo lasciato in sospeso negli anni, dei rapporti diretti con quelli che sono nostri amici e parenti, ma che forse in un tempo remoto o anche nell'immanente ci hanno fatto del male o hanno subito del male, ci hanno umiliato o sono stati da noi umiliati, sempre con l'idea che in fondo l'amicizia (o l'amore) cancelli tutto.
Ma talvolta ciò non accade: i piccoli malesseri si accumulano fino ad esplodere. Sta poi al rapporto che abbiamo creato fra di noi verificare se ciò potrà costituire un punto di non-ritorno oppure no, per ripartire avendo elaborato il dolore.
La Archibugi crea una commedia piacevole e attendibile, forse con qualche luogo comune di troppo, e si interroga (ci interroga) su che cosa ci renda (in)felici. I personaggi più narcisistici cioè quelli maschili (Sandro e Paolo, ovvero i soliti Gassman e LoCascio che rifanno personaggi simili al recente "I nostri ragazzi") vengono però soppiantati drammaturgicamente dalle due donne, i cui monologhi finali hanno un forte impatto emotivo oltre a dimostrare grande capacità recitativa.
Siamo all'atmosfera da resa dei conti; ma la Regista fa prevalere il suo ottimismo (qualcuno direbbe "buonismo") di fondo per non lasciarci del tutto senza speranza.
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