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Il signor Max

Regia di Mario Camerini vedi scheda film

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La recensione su Il signor Max

di Alvy
8 stelle

Sì, Il conte Max del 1957 è un capolavoro ma questo Il Signor Max del 1937 è uno degli apici di Mario Camerini e del cinema dei telefoni bianchi. Da riscoprire

 

Non c'è molto da esser fieri del cinema italiano afferente al periodo compreso tra gli anni Trenta e l'inizio degli anni Quaranta, noto come "cinema dei telefoni bianchi". Si trattava di produzioni volte ad intrattenere le masse con storie e storielle di stampo sentimentale più o meno a lieto fine e prive di qualsiasi sottotesto sociale o politico: in altre parole, un cinema che, in ossequio alla dittatura fascista, rappresentava e propagandava alle masse (in tempi in cui il cinematografo era il principale strumento popolare di conoscenza del mondo) un'Italia assolutamente non corrispondente a quella storicamente accurata, ovvero propositiva, bonaria, laboriosa, serena, immersa nel benessere sociale ed economico. Gli atti fondativi del vero e grande cinema italiano moderno sarebbero arrivati solo in seguito: Ossessione (1943) di Luchino Visconti, Roma Città Aperta (1945) di Roberto Rossellini, Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica. 

 

Partendo proprio da Vittorio De Sica, attore divo del periodo e protagonista di questa pellicola, è necessario operare dei distinguo sulla figura di Mario Camerini, con cui all'epoca De Sica aveva stretto un importante sodalizio artistico. La perizia registica, la cura formale, la direzione degli attori e la capacità di Camerini di infondere una personale vena autoriale in un contesto produttivo bloccato e soffocante sono ancora oggi assolutamente straordinari. 

 

Camerini ha, infatti, il merito di far correre sul crinale dell'ambiguità, grazie ad una folgorante messa in scena, una sceneggiatura bloccata (da lui co-firmata con Mario Soldati) sui soliti clichés della commedia degli equivoci di stampo piccolo borghese. Infatti, se è certamente vero che la storia di un umile giornalaio (De Sica) che prova invano a frequentare, tra mille peripezie, l'apparentemente fascinosa classe aristocratica sembri quasi un'elogio macabro dell'impossibilità di ascesa sociale, al tempo stesso non si può non leggere nell'intera costruzione della storia e, in particolare, nell'antinomia tra la vacuità dell'aristocratica Paola (Rubi Dalma) e la calorosa autenticità dell'istitutrice Lauretta (Assia Norris) al servizio della sorella minore di Paola, un elogio progressista alla spontaneità e all'essere sempre se stessi. In un'epoca che faceva del conformismo imperante un diktat ineludibile (pena: manganello e olio di ricino, se non peggio), non era scontato far passare un messaggio del genere. 

 

Se a ciò si aggiunge un'innegabile maestria nella messa in scena (le tante e diverse scene in stazione in primis), uno splendido uso diegetico degli oggetti (a partire dal portasigarette, quasi precursore dell'accendino del capolavoro hitchcockiano Strangers on a train del 1951) e un'interpretazione straordinaria della coppia Vittorio De Sica-Assia Noris, non si può negare che questo Il Signor Max, pur nelle ambiguità produttive dell'anno XV dell'era fascista e poi rifatto, con risultati ampiamente migliori, nel 1957 da Giorgio Bianchi con De Sica stavolta affiancato da Alberto Sordi, sia un grande film tutto da riscoprire. 

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