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Passo falso

Regia di Yannick Saillet vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Passo falso

di alan smithee
5 stelle

Un piede messo nel punto sbagliato costringe l'uomo a restare immobile in piedi nel mezzo del deserto, dopo che i suoi commilitoni sono stati eliminati o immobilizzati in un agguato. Unità di luogo ed azione in una coproduzione-scommessa piuttosto interessante, lucida e ben calibrata quasi sino alla fine.

Nell’insolita produzione franco-italiana che porta la regia di un esordiente come Yannick Saillet, il cinema va di pari passo con il trascorrere del tempo, e la dimensione dell’azione si circoscrive a una pressoché rigorosa unità di tempo e di luogo ove tutto quello che accade, viene ripreso ed è sotto gli occhi del pubblico.

Già Hitchcock, per scomodare l’inscomodabile, era da sempre attratto da situazioni limite simili alla presente, e già nel pieno della sua attività cinematografica il maestro sognava di ambientare un thriller tutto in una cabina telefonica, quasi a vincere definitivamente remore derivanti da una eccessiva e dunque forzata costruzione scenografica (per la cronaca il film di questa sua idea fu poi girato, in modo curioso, seppur non memorabile, da Joel Schumacher ne In linea con l’assassino).

E dopo curiose ambientazioni di thriller il cui protagonista si trova dislocato in un luogo che non conosce e da cui non riesce ad uscire (una bara, una macchina fuori strada, una gabbia piena di tranelli mortali, un loft minacciato da un serpente velenosissimo, un aereo infestato di rettili mortali resi famelici da una droga eccitante... provate un pò a ricordare i titoli dei film richiamati approssimativamente ed un pò confusamente qui sopra, semza alcun fine esaustivo ma solo per citarne qualcuno), questo Passo falso sceglie invece una dimensione più attuale collocando l’azione presso una zona desertica di un Medioriente non ben precisato, mentre una pattuglia d’azione europea sta compiendo un sopralluogo.

Vittime di un’imboscata che uccide pressoché tutti i membri dell’equipaggio del mezzo, tra i soldati solo Denis rimane in vita, ma solo perché si accorge di aver appena calpestato una grossa mina ed avendo la prontezza di riflessi di non spostarsi, rimanendo in piedi immobile a pochi metri dal mezzo.

Con l’aiuto di pochi mezzi che riesce ad avere, un cellulare, una ricetrasmittente, un fucile e poco altro (sin troppo forse, seppur buon per lui, ma ad un certo punto le tasche del malcapitato sembrano capienti come quelle dell’ Eta Beta disneyano), l’uomo si trova dinanzi ad una sfida personale contro l’evenienza di una morte davvero imminente: di fronte a lui, ferita e legata, una collega inerte ai richiami dell’uomo, mentre un ragazzino indigeno giunto con un mulo legato ad una corda, lo osserva, lo sfiora, rimane lusingato dalle offerte dell’uomo che gli propone oggetti in cambio di una sua collaborazione.

Come la storia dell’uomo con lupo, capra e cavoli da trasportare oltre il guado, il film procede un pò meccanicamente, ma con una dinamica di un certo interesse e almeno a tratti coinvolgente, sopraffatta qua e là da situazioni e sentimentalismi in grado di afflosciare buona parte della suspence quando il sentimento che trapela da una inaspettata telefonata della propria consorte, si inserisce un po’ maldestramente inzaccherando la materia di sentimentalismi e “amarcord” dolciastri non proprio opportuni.

Il progetto tuttavia risulta in fin dei conti una sfida interessante, ed il protagonista assoluto, ovvero il noto attore di action e commedie Pascal Elbé, appare idoneo e fisicamente opportuno, nonché sufficientemente motivato per sostenere una parte anche fisicamente piuttosto impegnativa.

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