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La santa

Regia di Cosimo Alemà vedi scheda film

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La recensione su La santa

di OGM
4 stelle

Non è tutto oro quel che luccica, abbagliandoci, magari, con l’ammiccante scintillio del low budget. L’alibi del cinema povero, e quindi indipendente (o viceversa) non basta a giustificare qualunque operazione fuori dai ranghi, o sopra le righe. Questa rozza storia di far west salentino, che si direbbe usi il colore locale in chiave  eminentemente denigratoria, lungi dall’essere un noir, è solo la tardiva e malaccorta rivisitazione di quel meridionalismo maledetto che, tra gli anni sessanta e settanta, aveva saputo fare di una certa arretratezza dei costumi lo spunto per una riflessione – dolorosa o beffarda – sul significato della tradizione, mettendone in risalto la componente irrazionale e dunque potenzialmente disumana.  Da Divorzio all’italiana a Non si sevizia un paperino, da La ragazza con la pistola a Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova, il neorealismo e la commedia all’italiana hanno utilizzato il crimine e la barbarie per fondersi, in varia misura, con una feroce critica sociale,  incorporando sapientemente elementi del giallo, e senza evitare audaci punte di cinismo. Le situazioni si sono fatte spesso crude ed estreme, paradossali ed anacronistiche, facendo della caricatura una maschera teatrale atta a sottolineare una fortissima, viscerale esasperazione dei ruoli e delle regole che li definiscono.  Ma l’eccesso funziona solo se è studiato, finalizzato a trasmettere un preciso messaggio, oltre che costruito su una solida base di verità. Nel film di Cosimo Alemà sembra invece di cogliere, purtroppo, soltanto un superficiale gusto dello stereotipo gonfiato fino al surreale, nel quale l’abitante medio del paesino leccese è un buzzurro qualunque privo di coscienza, ossia un pistolero dal grilletto facile, oppure una massaia sciatta e tendente all’isteria. Le uniche menti, nel bene e nel male, sono i forestieri, i soli sufficientemente evoluti da rendersi conto che la vita è un brutto affare, e bisogna passare all’azione per salvarsi, costi quel costi. Di riferimenti culturali non si scorge neanche l’ombra, fatta eccezione per alcuni fugaci cenni antireligiosi, i quali, mescolando banali proclami libertari e scontate condanne del culto dei santi, non sono minimamente in grado di centrare il problema. Per spostare il discorso sul piano narrativo, si deve rilevare come l’escalation della violenza e l’accelerazione verso un (sempre più prevedibile) epilogo tragico avvengano in maniera precipitosa ed inverosimile, avvalendosi di colpi di scena puramente tecnici, e del tutto insignificanti nel quadro complessivo della trama. L’ambiente rurale,  semplicisticamente contrapposto ad un mondo cittadino ideale in cui ognuno può essere se stesso, vorrebbe forse presentarsi come un inferno opprimente e sanguinario; tuttavia, il ritratto che ne viene dato è piuttosto quello di un manicomio a cielo aperto, impegnato in un gioco tanto micidiale quanto ridicolo.  La santa si potrebbe considerare un’operazione discutibile, se solo fornisse qualche elemento di discussione. Invece la tesi è  del tutto assente. Ed il racconto si affanna, inutilmente, con un pur apprezzabile impegno della regia, lungo la parete scivolosa della mancanza di senso.

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