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La prima neve

Regia di Andrea Segre vedi scheda film

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La recensione su La prima neve

di Lehava
6 stelle

Per qualcuno, il proprio posto nel mondo non ha un confine geografico. Neppure il limite, potenzialmente illimitato e personale, del sé. Ma respira accanto all'altro. Ad un altro. Al solo altro. Perso quello, non c'è più posto, nel mondo. La fatica quotidiana, quanto ci viene richiesto dalla vita che è sempre vita, è ritrovarlo. O più spesso, inventarne uno nuovo.

 

 

Michele ha undici anni. E' ancora piccolo, ha bisogno di aiuto, per costruirsi e comprendersi. Perso il padre, punto di riferimento essenziale, è confuso. Ha smarrito la via, non ritrova più quella che faticosamente stava percorrendo. Arranca sui sentieri di montagna, corre a perdi-fiato per i pendii, scivola nel sottobosco inondato di foglie autunnali e si stupisce di ritrovare ogni giorno, in ciò che più gli è familiare, una bellezza crudele e sconosciuta. Dani, profugo dal Togo, dall'anima africana e cittadina, si ritrova in una valle alpina, ruvida e solitaria. Dove la nebbia sale inesorabile dalla stretta pianura più in basso, confondendosi alle nuvole che si abbassano minacciose dalle cime più alte. Pure lui è perso, pure lui si affanna per riprendere il proprio posto nel mondo. Che non c'è più, da quando Layla se ne è andata. Lasciandolo con la piccola Fatou, che non può e non vuole accudire. Attorno a loro essere umani svuotati: Fabio che vorrebbe andare in Madagascar; Gus indefinibile. Elisa, che la sua strada la conosce molto bene, solo, ha bisogno di tempo, di riprende fiato, di un po' di silenzio anzi no forse di confusione e parole. Solo Pietro resta saldo: lui, uomo semplice e antico. "Le cose che hanno lo stesso odore dovrebbero stare insieme" afferma sconsolato. Il suo odore è lo stesso della casa in cui vive: tra la legna e le arnie, accanto alla figlia ed al nipote. Nel suo letto, gli incubi spariscono. Non ci sono dubbi, solo certezze. Ecco perchè tutti lo cercano, e lo amano. Pietro, la roccia. Fragile e saggio, come un leone anziano. Queste galassie, ora vicine ora lontane, or incomprese ora incomprensibili, troveranno ognuna un proprio modo per dare voce al dolore. Quello straziante e troppo muto, che sta in fondo all'anima, aggrappato a quella parte di noi che era un tutt'uno con l'altro, e che deve saper ritrovare se stessa in quanto tale, nella solitudine della condivisione. 

 

 

E' un film che mi ha profondamente toccato, questo "La prima neve" (bellissimo titolo) di Andrea Segre. Mostra un ambiente familiare, ripropone tematiche che mi coinvolgono a livello personale. No, non mi pare che di immigrazione si parli, non in senso stretto. Se mai, di integrazione, che poco ha a che fare con il colore della pelle. Dani viene dal Togo, ma avrebbe potuto essere di Cefalù, oppure di Milano. La sua inadeguatezza è completamente intima. Se Layla fosse stata accanto a lui, egli sarebbe stato un uomo diverso, pure nello stesso luogo: qui il dramma è nello sradicamento, e per i protagonisti le radici non sono tanto culturali ed ambientali, quanto piuttosto affettive. Michele è nato e cresciuto nella valle, eppure è alla deriva. Cerca di essere arrabbiato: è aggressivo e protettivo con la madre, disincantato con gli amici, ironico e tenero con il nonno (che tenero e ironico è pure). Ma non può sfuggire alla bellezza: è il suo istinto primordiale alla vita, che gli fa esclamare, sul pian di neve inondato di luce, accanto alla tomba del padre: "quanto è bello qui". E' il suo istinto alla comunione, spontanea e semplice al di là di ogni costrizione sociale, a chiedere a Dani di portare Fatou lì, un giorno, chissà ... Alla fine, non ci sono zone d'ombra, perchè quello che importa, è facile e immediato: "una famiglia non dovrebbe essere lasciata senza padre" afferma ancora una volta Pietro. Un genitore deve volere prendersi cura della propria prole, contro ogni sofferenza e difficoltà, anche quelle di sentirsi estranei ad essa. Trovando il modo di stare in questo mondo, comunque; oppure inventandosene uno nuovo. Un figlio deve elaborare la tragedia di un padre che non può più esserci. Solo così potrà dire a lui addio e contemporaneamente ritrovarlo, più amato che mai, lasciando che il sogno si sbiadisca per riportare l'immagine nitida alla realtà. E' un film che mi ha commosso, questo "La prima neve". Nello sguardo stupito di Michele che scopre il sole attraverso le foglie. Nel vento fra gli alberi che scuote la sua anima, sull'orlo del precipizio. Negli occhi di Dani che afferra il miracolo della vita sulle guance paffute di Fatou, scrutandola pudicamente mentre dorme, la pelle accarezzata dai bagliori di una lampada. E' un film profondo, che ci aspira verso l'alto: alla speranza, sempre. Splendido, nelle intenzioni e nei significati. Molto meno, molto meno veramente, nella forma. Innanzi tutto la scrittura: la narrazione è discontinua nei ritmi. In più poco omogenea negli accadimenti, lasciando allo spettatore uno sgradevole senso di scollamento. La regia non aiuta: Dani che parla fra sé, nella prima parte, mi è parso un "eccesso di parola", in pieno stile televisivo. D'altro canto, invece, le riprese (molto belle) della natura circostante non riescono ad inserirsi nel discorso complessivo, regredendo allo stadio di "cartoline" vuote. La mano di Segre è, più che "pulita", direi "semplificatrice". Nella media fotografia e montaggio, così così la musica. Discorso breve ma definitivo sugli attori: tutti bravi (Matteo Marchel su tutti). A parte, purtroppo, il protagonista Jean-Christophe Folly: poco incisivo, secondo me sotto la sufficienza.

 

Pó a stanòt l‘è riàt dó ‘l vét…

strach de ‘n dè pasàt ‘n de le sime,

de per lü, a smöer la isega e a spasà la nef,

‘l cerca ‘l tepùr de ‘n bóf de füm

che ‘l scaldés ‘l frèt che ‘l gà ‘n de ‘l cör.

(Anche stanotte è sceso il vento…

spossato da un giorno passato sulle cime

da solo, a smuovere l’erba secca e a spazzare la neve,

cerca il tepore di uno sbuffo di fumo

che scaldi il freddo che ha nel cuore.)

 

 

 

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