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Capitan Harlock

Regia di Shinji Aramaki vedi scheda film

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La recensione su Capitan Harlock

di M Valdemar
8 stelle

Un istante che si ripete diventa eterno. È questa la libertà?


Avvolta sempre da nerissime nuvolaglie, con densi minacciosi sbuffi che esal(t)ano un'immortale connessione con l'Oscurità, l'Arcadia sembra (ri)emergere, rinascendo ogni volta, dalle tenebre di un passato di morte e devastazione, lotta arditamente contro le illusioni in cui stagna il lugubre presente dominato da un'istituzione dittatoriale, procede senza indugi verso un futuro incerto da scrivere, ma che non può non passare da un'altra Fine.

Al suo comando, l'indomito enigmatico solitario Capitan Harlock: uomo, Mito, leggenda, divinità, icona, fuorilegge, folle, visionario, anarchico, sola speranza per l'Umanità. Tormentato per il ruolo avuto negli angosciosi, celati eventi di cent'anni addietro - la catastrofica guerra spartiacque ComeHome - egli cerca l'espiazione e la pace cercando di raggiungere l'unica frontiera e meta possibile, e cioè la Libertà. Ad ogni costo; e con ogni mezzo. Con gli uomini disposti a seguirlo ovunque - ciurma adorante di individui (r)accolti e salvati tra i quali il robusto esperto Yattaran e la meravigliosa combattente bionda Kei - ed una eterea presenza aliena, Meeme, l'ultima della sua specie (i Nibelunghi), che tramite il controllo del motore Darkmatter permette ad Harlock di navigare.

Attraverso lo spazio, le stelle, le asperità, le conoscenze (credute) e l'ignoto (temuto): nella più totale buia desolazione, un singolo delicato fiore può significare nuova Vita, perché ognuno è immortale e racchiude in sé l'eternità.


Opera ambiziosa, per la inconsueta consistente misura del budget ed in termini di ricercatezza visiva e complessità intrinseca, Capitan Harlock fa germogliare i semi di un immaginario collettivo, amato e valido sotto molti aspetti, in una potente magnifica eterogenea sinfonia che canta un'idea universale (l'Uomo e la -sua- Natura, le sue fragilità, paure, sofferenze, colpe, illusioni e speranze), ramificata in armoniche argomentazioni filosofiche. politiche e poetiche (anche retoriche, ma sotto l'ottica più nobile ed antica dei termini).
Simboli (i fiori, i teschi, i colori, le parole, la rivalità fraterna), sentimenti (sovente nascosti), azioni e reazioni, armi distruttutrici e distrattrici, evoluzioni e rivoluzioni: gli elementi tutti compongono un complesso disegno tragico, oltremodo affascinante, dal respiro epico e dalla portata grandiosa.

Disegno che deve passare, necessariamente, da una attualizzazione anche "pesante" (ma senz'altro pensante come in questo caso) delle tracce e delle figure note (e come tali estremamente e comprensibilmente care): di alcune non v'è ombra (per esempio Mayu, la bambina che suona l'ocarina: un peccato, però non aver saputo/voluto riproporla!), di altre vi sono ritocchi più o meno sostanziali (le conformazioni dell'Arcadia e di Meeme stesse, modifiche nella storia e nei personaggi, e via di questo passo per i nostalgici che  vogliono trastullarsi con confronti che lasciano il tempo che trovano); per non parlare delle aggiunte (il protagonista Yama e suo fratello Ezra).
Quello che resta è lo spirito del cartone animato [definizione d'altri tempi, irrinunciabile per chi, come il sottoscritto, ne ha vissuto in pieno l'epopea irripetibile], una concezione generale, fortemente (arche)tipica, che affonda le sue radici tanto nell'originale creato da Leiji Matsumoto, quanto nella tradizione nipponica (vedasi alla fine "onorevole" e mai banale riservata ai cattivi). In tal senso, è immancabile, e impeccabile, l'aura drammatica, malinconica e romantica che ammanta volti, atti, tragedie, luci, psicologie: un vero e proprio marchio della fabbrica per l'animazione "adulta".

La profondità di sguardo abbraccia tematiche importanti e non casuali - con evidenti richiami e sottotesti politici e sociali contemporanei - così come la storia e le singole storie (di nuovo, le vicende che riguardano i due fratelli sui versanti opposti e la figura di Nami), che rivelano una cura, un approccio, un amore encomiabili.

Dubbi invece permangono sull'utilizzo della computer grafica, che (ancora) non permette di riproporre facce ed espressioni veramente "umane", creando così un poco piacevole connubio con il mondo dei videogame (seppure dopo i primi momenti di "fastidio" quasi non ci si fa più caso, ed è un grande merito), mentre è eccellente per tutto il resto: arredamendo scenografico, sfondi, strutture e disegni, l'oggettistica (l'attenzione maniacale per i dettagli è d'obbligo), persino il 3D grazie al quale l'esperienza è realmente immersiva. D'altronde, la CGI era forse l'unica scelta possibile: le alternative - ricorrere ad una sorta di puntata riassuntiva allungata (in pratica un contentino dal sapore celebrativo per i fan), o ricorrere al live action in stile Yattaman di Takashi Miike (ma le due opere hanno natura decisamente differente!) - non sembrano in effetti strade percorribili dati anche i non indifferenti investimenti della lodevole Toei Animation (ed un plauso va pure alla Lucky Red, al suo impegno nel distribuire l'animazione fuori dai canoni e dai conventi hollywoodiani).

Ottima, e sensata, infine, la gestione della tenuta del film, perché risultano molto ben bilanciate le sequenze di azione (pulsanti ma non in modo caotico) e quelle riflessive, intimistiche (intense e suggestive), col concreto apporto di una colonna sonora incisiva e mai invadente: su tale composito equilibrio il crescendo dell'avventura è emozionante, fino alla fine.

In definitiva, Capitan Harlock è una cavalcata epica, quasi "mistica", indubbiamente goduriosa, che muove i primi passi dai ricordi senza affondarvici e prosegue su percorsi nuovi senza dimenticare la propria identità.
E guarda avanti. Come fa il mitico pirata dall'occhio bendato.








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