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Gigolò per caso

Regia di John Turturro vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Gigolò per caso

di laulilla
4 stelle

Un gigolò sbiadito, scolorito, privo di smalto, triste, (fading) diventa, per i nostri geniali titolisti, un gigolò per caso, laddove il caso non si vede che cosa c’entri.

 

Il povero Fioravante (John Turturro) conduce una vita solitaria e grama, e, in tempo di crisi economica (è il 2013) è più triste e meno brillante del solito: egli, infatti, non è un uomo allegro di suo, forse perché è solo, forse perché ha un lavoro precario (compone per un negozio eleganti e bellissimi mazzi di fiori) o semplicemente perché pensa che ci sia poco da ridere in questo mondo.

E’ molto amico di Murray (Woody Allen), che ha in animo di chiudere la sua bella e antica libreria di Brooklyn, poco frequentata, ahimè, poiché la crisi si fa sentire anche fra i lettori bibliofili.

Secondo Murray, però, potrebbero entrambi vivere da ricchi se solo Fioravante accettasse di diventare un gigolò: a Murray il compito di procurargli le clienti; a lui quello di accontentarle per guadagnare per sé e per l’amico, trasformato in pappone.

C’è giusto una bella e ricca signora (Sharon Stone), professionista di successo – è dermatologa e Murray è fra i suoi pazienti – che vorrebbe soddisfare qualche capriccio ed è disposta a pagare molto bene un bravo amante sufficientemente spregiudicato da accettare anche un rapporto a tre.
Parrebbe proprio l’uovo di Colombo, la via più facile per farsi i soldi, ai quali tiene molto Murray, che ha una famiglia numerosa cui provvedere.
Fioravante, però, è riluttante: meno cinico dell’amico, è poco incline a vendere il proprio corpo, ed è refrattario a diventare oggetto di trastullo per donne ricche e trasgressive.

 

Il racconto oscilla fra il torrenziale chiacchiericcio di Murray-Allen, che utilizza il proprio capzioso laicismo di ebreo-eretico per convincere l’amico della innocenza di una così redditizia scelta – è in fondo il mestiere più antico del mondo – e il progressivo incupirsi di Fioravante-Turturro, che, innamoratosi della giovane e bella vedova di un rabbino, ricorsa alle sue cure per elaborare il lutto, non intende più cimentarsi con quel tipo di prestazioni.

Le vicende che si intrecciano a questo nucleo narrativo, pur contenendo alcuni spunti di riflessione interessanti e alcune belle e fulminanti battute sul fondamentalismo religioso e sul razzismo, non cambiano sostanzialmente la struttura del film, che annovera fra i suoi pregi le immagini di New York (fotografia di Marco Pontecorvo), che – anche dalle strade e dalle case di Brooklyn – si conferma uno sfondo suggestivo per qualsiasi racconto cinematografico.

Fra i suoi difetti, la grevità della situazione: il personaggio di Murray è così irritante, nella sua volgarità (perché, Turturro?), che non riesce a strapparmi neppure un sorriso.

 

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