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Anni felici

Regia di Daniele Luchetti vedi scheda film

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La recensione su Anni felici

di EightAndHalf
7 stelle

Fratellanza, paternità, matrimonio. I rapporti familiari in tutta la loro problematicità in tre film che sono tre salvagenti del moderno cinema italiano, Mio fratello è figlio unicoLa nostra vitaAnni felici. Con l'ultimo capitolo Luchetti non si smentisce, benché sembri utilizzare un linguaggio più ingenuo, più volto al buonismo e alla tenerezza: la frase tanto rimbombante nei trailer che hanno percorso tutte le reti televisive, "erano anni felici, peccato che allora non ce ne siamo accorti", nel finale del film si pregna di un significato sottilmente nostalgico che non corrisponde a un qualunque ricordo melenso, ma a una fatale presa di coscienza, che prescinde il discorso sul distacco generazionale e guarda al passato dell'estate del '74 come a un'epoca barcollante in un futuro di utopica libertà. Utopica perché ha un altissimo prezzo, l'innocenza. 
Il discorso è intelligente e più problematico di quanto sembri, sotto una scorza di ingenuità che rende il film leggero e facilmente fruibile: l'estate del '74 (anno dell'approvazione del Referendum sui divorzi, nonostante l'impetuoso No della Democrazia Cristiana) è la scossa verso un triplice racconto di formazione che pone fine alla semplice quotidianità della famiglia italiana, e la scuote, europizzandola (il viaggio in Francia) e infondendole un nuovo spirito d'Avanguardia (a sua volta duplice, l'arte iniziale provocatoria di Guido/Kim Rossi Stuart e l'arte matura e sentita del finale, "l'assenza"). Così adulti e bambini (il prodigio  primogenito, un semiautobiografico Luchetti tutt'altro che autocelebrativo, armato di Super8 per fare già cinema maturo e "venduto") crescono contemporaneamente, perché nel passato si poteva crescere anche da grandi, non ci veniva detto tutto, non tutto era ovvio e disponibile come oggi. La libertà, quale libertà? La libertà di tradire, la libertà di rivendicare sé stessi. Se vogliamo Anni felici è un film tradizionalista, seppur straordinariamente moderno (alcuni frammenti onirici, come Serena/Micaela Ramazzotti che esce dalla macchina in corsa per far passeggiare la sua ombra e la sua mente, oppure il sonno sotto una luce lunare frammentata dalle ombre delle nuvole, spiazzano in pochi secondi, dànno al film la purezza della memoria), tradizionalista perché il piccolo Dario/Luchetti ha scoperto tutto, i suoi genitori ancora nulla, perché sono due generazioni inavvicinabili (come sono state sempre le generazioni l'una successiva all'altra) e perché sono due tempi inavvicinabili. I figli di Serena e Guido crescono tra donne nude, cornificazioni, i frequenti rapporti sessuali dei genitori, e crescono con una consapevolezza che è propria di quei giorni e (purtroppo) di oggi, una consapevolezza (e una libertà) che ci priva di noi stessi, piuttosto che riappropriarci. Forse avremmo dovuto accettarci negli atavici difetti del tradimento, dell'amore, del patriarcato, delle "scenate" in mezzo alla strada. Non avremmo avuto criteri di paragone, in futuro, per dire che un tempo si era felici rispetto al triste oggi. Non avremmo cercato di capire il cambiamento del futuro attraverso un precoce tentativo di suicidio. Non viene mostrato il presente, ma esso guarda dal di qua dello schermo come "un secolo contro l'altro armato" (A. Manzoni).

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