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My Blood

Regia di Diamantis Karanastasis vedi scheda film

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La recensione su My Blood

di OGM
8 stelle

Dipus è figlio di Laius e di Jo. È il sangue che non vede altro che se stesso, nell’amore come nell’odio. Uccide il padre e si unisce alla madre. La sua cecità è l’impossibilità di vedere oltre la sostanza della propria carne, entro i cui confini il sentimento gira a vuoto e poi muore di asfissia. Il matrimonio dei suoi genitori si incanta, come un vecchio disco, sulle ripetitive formule di un affetto rituale, ormai privato di ogni trasporto. È la routine di cibarsi l’uno dell’altro, senza più provare alcun gusto, ma rispettando rigidamente gli orari dei pasti. La pietanza, per quanto sia calda e rossa come la passione, è una minestra casalinga che non stuzzica più l’appetito. Il punto è che comunque bisogna mangiarla, per sopravvivere, e per mantenere intatta quella necessaria illusione di intimità. Intanto il torbido mulinello di un fluido istintuale cerca nuove vie proibite per dare sfogo alla propria ancestrale energia. La sua voracità è troppo primitiva ed indisciplinata per accontentarsi di ciò che possiede,  di ciò che ha tutti i giorni sotto gli occhi. Laius si innamora della prostituta Niovi. Dipus uscirà al suo guscio di bambino per diventare un uomo tra le braccia di Jo. Nella pièce della scrittrice greca Marianna Calbari, il mito di Edipo ritorna, come un cimelio antico e indecifrabile, nella nostra epoca scossa dalla voglia di credere nella passione, a dispetto delle fatali derive di un mondo soggetto ad una cinica forza centrifuga. L’eros degli avi è ridotto ad un cencio, una vecchia veste piena di buchi e di strappi che la rendono dinamica e leggera, danzante in libertà nel vento dell’odierna spregiudicata incostanza. Le sue sfrangiature sfumano il ritratto dei sentimenti, confondendo sfioramenti e contatti mancati, slanci di possessività e prudenti ritirate. Nella trasposizione cinematografica dell’esordiente Diamantis Karanastasis  – attore televisivo e teatrale al suo debutto alla regia - il quadrilatero amoroso è parte di un ciclo naturale spezzato, che si avvolge disperatamente su stesso nel tentativo di ripristinare la sua integrità. I frammenti si ricompongono a caso, seguendo ora il richiamo delle origini, ora la spinta ad evadere per incontrare il proprio opposto. La fuga, intrapresa da ogni personaggio verso l’interno o l’esterno del proprio microcosmo emotivo, è una strada lastricata di parole che non vogliono cambiare, e si ripropongono insistentemente, sempre uguali a se stesse, sperando, in tal modo, di potersi sedimentare in certezze: ti amo, anch’io, ma fino a quando?, per sempre. La circolarità dei discorsi costruisce rapporti apparentemente duraturi, ma poi finisce anch’essa per sottrarsi al controllo ed uscire dai binari. La spirale impazzita si richiude su un’incestuosa perversione, che nasce dal desiderio di crescere senza abbandonare la propria casa: è il tradimento del marito che vuole restare con la moglie,  o la mostruosità del bambino che pretende di farsi adulto nel grembo materno. Il divenire è deviato dall’ansia di non potersi evolvere senza perdere se stessi. Aima è la ballata del sangue che circola tra varie anime, ma in un unico corpo, al suono di una poesia che mira ad eliminare le differenze, mentre genera mortali contraddizioni.

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