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Compliance

Regia di Craig Zobel vedi scheda film

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La recensione su Compliance

di Kurtisonic
8 stelle

Destino controverso, questo Compliance, significativamente apprezzato e presente al TFF 2012, criticato e snobbato alla sua uscita in sala negli USA. Opera dalla rappresentazione quasi teatrale, scenograficamente contenuta in un paio di ambienti claustrofobici, in uno degli scenari più classici del postmoderno, il fast food. Tratto da una storia vera, un sedicente poliziotto informa la direttrice della sala che una dipendente, la giovane cassiera Becky, è inequivocabilmente l’autrice di un piccolo furto ai danni di una cliente. L’uomo sempre per telefono ordina alla donna, Sandra, di sorvegliare la ragazza  in attesa del suo arrivo. Compliance è un piccolo film che tocca temi enormi, che una volta staccati dalla visione penetrano e smuovono convinzioni e punti di vista nello spettatore lasciandolo fortemente a disagio. Si tratta intanto di una denuncia di stati d’animo profondamente alienati e forse irremediabilmente modificati che attecchiscono non solo negli ambienti di lavoro ma che stanno alla base del modo di relazionarsi con gli altri. La tacita accettazione, il sopruso, il ricatto, la paura di perdere il proprio micro status  sociale raffredda non solo il cuore, annulla la ragione. Il film di Craig Zobel mostra le conseguenze del rapporto “geneticamente” modificato, fra l’individuo e l’addomesticamento culturale, che anni di oblio hanno trasformato in pecorismo, scambiandolo per egoismo, rimozione del concetto di collettività in favore di deleghe morali alle quali tutto è permesso. In un crescendo di violenza verbale, il cosidetto rappresentante della legge circuisce e comanda diversi interlocutori, soggiogando la ragazza fino ad arrivare ad estremi inaccettabili. Compliance mette subdolamente in gioco il rapporto dell’essere moderno con l’autorità, la scarsa coscienza critica con la passività morale quando viene in qualche modo blandita e istituzionalizzata dai modi di pensare e dal pregiudizio sugli altri. Zobel riesce in uno scenario ridotto, fra lo spettrale e il domestico di un retrobottega  dove la ragazza viene reclusa, a mettere tutti i soggetti sullo stesso piano quali vittime e carnefici di loro stessi, trasformando in un vero e proprio asse di ripresa mentale che comprende la crudeltà e il cinismo del telefonista, l’asservimento incondizionato della direttrice, il disagio represso del suo fidanzato che s’improvvisa carceriere, e la passività della giovane accusata. La sua rassegnazione è forse l’elemento più sconvolgente, tanto incomprensibile quanto umano, la decifrazione del suo atteggiamento è la chiave di lettura del nuovo mondo,  della responsabilità che grava sul futuro di giovani generazioni non educate al contraddittorio, al discernimento fra pulsioni e razionalità. I protagonisti si trasformano in braccia disarticolate del potere, deprivati di ogni volontà in favore di una voce dall’altro capo del telefono. Compliance ricorda in parte quell’addestramento verbale presente in Kinodontas, cinematograficamente però il durissimo film greco si avvaleva di una creatività surreale che il film di Zobel purtroppo non possiede: Compliance è assolutamente reale nella sua rappresentazione e come detto è la cronaca delirante di un fatto che si è verificato con le stesse modalità negli USA parecchie volte. La violenza psicologica dilaga, si espande dentro e fuori dallo schermo, fino a quando non viene riconosciuta, e lì subentrano nuove forme di difesa di autoimmunità da una situazione che pareva giusta e da fare in quel modo per lasciarci senza speranza, con il dialogo vuoto della direttrice con il detective che a giochi fatti indagherà su cosa sia successo. Neanche le immagini a circuito chiuso della stanza del fast food  aprono gli occhi a Sandra, possiede la tranquillità o custodisce il terrore di essere in una  compagnia molto, troppo  numerosa.  

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