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Viaggio sola

Regia di Maria Sole Tognazzi vedi scheda film

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La recensione su Viaggio sola

di LorCio
7 stelle

Oltre ad essere un deciso passo in avanti nella carriera di Maria Sole Tognazzi dopo l’imbarazzante L’uomo che ama, Viaggio sola è una piacevole sorpresa di questo sbiadito finale di stagione. I presupposti per essere il solito film carino, debole e insipido c’erano tutti. Eppure Tognazzi raggiunge un risultato garbato ma non ruffiano, snello ma non esile, malinconico ma non mesto, un’operina graziosa e per certi versi anomala all’interno del cinema italiano contemporaneo. È sicuramente un film che ha un proprio target di riferimento, ovviamente femminile, che comunque riesce a non ghettizzarsi nel recinto delle donne in libera uscita, ma sa parlare ad un pubblico ben più vasto per una ragione tanto semplice quanto fine: parla di solitudine senza mai presentarla in un’ottica negativa, contrastando allo stesso tempo quell’idea della nostra “società ipersessualizzata” teorizzata dalla sessuologa inglese Lesley Manville (ma anche anaffettiva o almeno timorosa nei confronti degli affetti) secondo cui la felicità (o perlomeno la serenità) sia dettata dal fatto di avere una vita stabile con figli e partner.

 

Evitando accuratamente la trappola dell’ovvio sentimentalismo, Tognazzi (in sede di sceneggiatura con l’attivissimo Ivan Cotroneo e Francesca Marciano) costruisce un film di dimensione europea, quindi esportabile (nonché parlato filologicamente in tre lingue, caso raro nel cinema nostrano), fotografato con lucida freddezza da Arnaldo Catinari ed ambientato in alberghi di lusso in giro per il mondo (genialata di product placement: la protagonista fa l’ispettrice per conto delle agenzie di rating), che potrebbe diventare un long seller per le sempre più frequenti donne sole e (apparentemente/probabilmente) contente.

 

Certamente il cast è ben selezionato (in palla Stefano Accorsi e Gianmarco Tognazzi, ottima Fabrizia Sacchi), ma Viaggio sola è l’one woman show della magnifica Margherita Buy, l’attrice italiana più importante e rappresentativa degli ultimi vent’anni. Buy regge sulle proprie spalle l’intero film (che di per sé non ha una vera e propria storia, ma vive di stati d’animo) conferendo alla sua Irene, personaggio complesso e non usuale, ruvidezze e spigolosità soltanto sporadicamente affrontate nel suo percorso d’attrice (caratterizzato, perlopiù, da donne insicure o nevrotiche, che non di rado hanno rischiato di relegarla ad uno stereotipo), nonché una progressiva consapevolezza dell’eventualità di dover cercare un altro posto nel mondo.

 

Considerando, inoltre, determinate peculiarità del personaggio (la tendenza ad analizzare la pulizia e l’ordine di una stanza anche in un negozio d’abbigliamento, fumare le sigarette nascosta nel bagno, la mancanza di un rapporto intimo con le persone care) che sottolineano ulteriormente la normalità (e non è scontato) di Irene, non mi resta che celebrare Margherita Buy come la migliore in campo da un ventennio per versatilità, costanza e talento.

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