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La perdizione

Regia di Ken Russell vedi scheda film

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La recensione su La perdizione

di maso
10 stelle

Un'altra gemma nella prestigiosa filmografia di Russell, vi si racconta con grande gusto e stile la vita del compositore austriaco Gustav Mahler che a cavallo del novecento si guadagnò la fama di genio tragico della musica classica e fu accostato a maestri come Beethoven e Mozart, un'altro film di stampo biografico di Russell che da parte mia riceve ancora il massimo dei voti per lo stupendo equilibrio che lo fa splendere pur essendo l'involucro di una tragedia dai toni neri e minacciosi che aleggia sul destino del protagonista e purtroppo del suo popolo.

La cosa che mi ha davvero entusiasmato di questo film rispetto ad altre opere del regista è la netta distinzione fra le varie dimensioni del racconto: Mahler viaggia sul treno che lo sta riportando in patria dopo un anno passato in America a riscuotere applausi a scena aperta, con lui viaggia la moglie Alma che da un po’ lo tradisce con un giovane ufficiale austriaco presente anche lui sul treno, seguendo il percorso in avanti del viaggio su cui si sviluppa l'evolversi della storia d'amore e la malattia infettiva che incalza inesorabile su Malher la sceneggiatura torna indietro nel tempo e ci racconta il suo passato a partire dall'infanzia ma senza mai confondere i ricordi con i sogni, i presagi e le visioni.

La vita di Mahler bambino è cinema puramente biografico dal quale estrapolare l'origine della sua ambizione per eccellere nel campo musicale, pressato da un padre esigente che non accetta un 10 meno ma allo stesso tempo lo incoraggia a nutrire la sua passione pur sapendo che il mestiere di musicista è quasi una maledizione che ti condanna alla sofferenza e la povertà, impeccabile la ricostruzione storica completamente depurata da svarioni onirici e surreali in questo scorcio in cui il giovane Malher comincia anche ad assaporare il gusto amaro dell’antisemitismo.                           

La condanna della stella a sei punte è un triste presagio non solo per il suo destino che si compirà molto prima dell’apice mostruosa dell’olocausto, ma soprattutto per il suo popolo sempre più osteggiato da quella crescente fazione di lingua tedesca colorata in nero, Mahler stesso è sferzato dalla discriminazione per tutta la vita: da piccolo quel famoso meno è che gli ha sporcato un dieci pieno è stato comprato dal suo rivale a scuola, ovviamente ricco e cristiano, l’amante della moglie anche sembra appoggiare quel pensiero e in un incubo Gustav si vede rinchiuso vivo in una bara mentre i due amanti lo osservano in abiti nazisti dandolo ovviamente per morto, addirittura la musica che comunque lo inorgoglisce ma lo logora anche sembra un orologio inesorabile che lo condanna perché ha già completato nove sinfonie e il suo amico gli ricorda che tutti i suoi illustri predecessori non ne hanno fatte più di nove, il sogno di dirigere Wagner all’opera di Vienna è pure ostacolato dalla sua religione visto che il teatro è diretto dalla figlia di Wagner Cosima, totalmente antisemita, proprio a causa della musica rinnegherà le sue radici convertendosi al cristianesimo, in quella che davvero sembra un’allucinazione grottesca si immagina come in un opera wagneriana a duettare su vette incontaminate con un valchiria agghindata sexy e marchiata di svastiche che rappresenta perfettamente l’immagine di coloro che massacreranno i suoi cari dopo anni di angherie e soprusi, in tal senso ho trovato geniale l’approccio narrativo a questo aspetto della trama che mette lo spettatore nella condizione di sapere cosa attende il popolo ebreo mentre i personaggi della storia cominciano ad avere paura senza immaginare a che punto si arriverà, cosa che noi sappiamo benissimo.

Mahler era davvero un genio maledetto e tragico, la musica fu la grande causa dei suoi travagliati rapporti famigliari e delle scelte che condizionarono la sua esistenza, è una malattia incurabile che può portare anche alla follia come capitato al suo collega compositore Hugo Wolf che incaricato da Cosima Wagner di comporre musica per l’opera di Vienna perse il controllo e fu rinchiuso in un manicomio, la visita di Malher raccontata nel film è grottesca e drammatica con Wolf che dalla sua cella si pulisce letteralmente il culo con gli spartiti delle sue opere giudicate carta igienica dagli esperti, anche questo segmento è privo di ghirigori surreali ed è per questo che si respira con amarezza il dramma di Malher schiavo della musica e del suo amico martire dell’insuccesso nel produrla.

Il nucleo tematico che però risulta essere più importante ai fini della definizione del personaggio è il rapporto tra Malher e Alma, sembra davvero che il suo tradimento fu la più grossa afflizione per il compositore ed è proprio qui che Russell da libero sfogo al suo stile senza limitarlo, arricchito anche da dialoghi memorabili: la piccola casa di legno sulle rive del lago è piuttosto surreale, il fuoco che divampa e l’avvolge all’inizio del film lo è anche di più, simbolo di disfacimento e presagio di morte fa il paio con quel treno dove si svolge l’atto conclusivo della loro storia d’amore che tiene più che mai vivo l’interesse del film fino alla fine, capacità che ho riscontrato in molti lavori di Russell e dato che “La Perdizione” è una biografia il pregio risulta ancor più grande.

I dialoghi fra Alma e Gustav sono i più ricchi di spunti di riflessione e contenuti, oscillano fra l’interno dello scompartimento del treno dove il tono è tagliente e l’ambiente famigliare bucolico e più legato all’ispirazione musicale dell’artista, alcune battute di Mahler sono davvero memorabili: “Le cose vanno fatte per amore e non per dovere, il dovere uccide e consuma” – “Finché ci sarà la musica ci sarà l’amore” – “Dirigo per vivere e vivo per comporre”.

Russell ha fatto davvero un film potentissimo come una sinfonia di Malher cupa e vivace, non c’è un attimo di pausa per lo spettatore che può godere ad ogni istante delle trovate racchiuse nel film: osservate bene all’inizio del viaggio chi intravede Malher alla stazione, sembra un’immagine di “Morte a Venezia” di Visconti con il quale “La Perdizione” ha parecchi punti in comune.

Un applauso finale lo merita tutto il cast e soprattutto i due protagonisti Giorgina Hale e Robert Powell che ha dato vita ad un Mahler burbero com’era in realtà ma anche sensibile e romantico e nella ottima versione italiana guadagna altri punti grazie alla voce di Romano Malaspina.

Robert Powell

Adattissimo al ruolo ne ha dato una interpretazione di spessore enorme, forse la migliore della sua carriera.

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