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Drive

Regia di Hiroyuki Tanaka vedi scheda film

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La recensione su Drive

di alan smithee
8 stelle

Hiroyuki Tanaka, conosciuto anche come SABU, misconosciuto (ma solo in Italia) regista giapponese dello splendido e recente Miss Zombie, rimane ancora più un mistero indecifrabile ritrovarlo, nel mio caso per la seconda volta, con questo suo bizzarro, a tratti geniale ed imprevedibile “Drive” dell'ormai lontano 2002.

Un titolo che ci comunica velocità e motori, autovetture lanciate in inseguimenti e rincorse alla Fast & Furious, ma che ci sorprende invece raccontandoci di un protagonista tutto timori, tentennamenti, lentezza di guida e rigoroso rispetto del codice della strada.

Una vera tragedia per un gruppo di rapinatori che, traditi dal un loro complice, fuggito da solo col malloppo, si ritrova per ironia del destino nell'auto della persona meno adatta per improvvisarsi un valido ed efficace inseguitore.

Kenichi Asakura infatti è un giovane e timido rappresentante di commercio che soffre di lancinanti mal di testa, causati, a quanto sembra, dalla tendenza dell'uomo ad insaccare la testa, rimedio istintivo ed irrazionale di nascondere la testa in un carapace inesistente per ripararsi dalle violenze e dalle angherie di una vita che davvero egli non si riesce a dominare.

Preso in ostaggio dal gruppo male assortito di improvvisati rapinatori, il prudente autista perde molto prersto le tracce del traditore e si trova ad accompagnare e condividere le problematiche del resto della banda, che a sua volta pian piano si disperde, ognuno di essi attirato da eccentriche e tentacolari occasioni che il destino fa capitare per strada.

Nel contempo l'eccentrico regista ci dà la possibilità di conoscere meglio la personalità complessa e problematica del nostro protagonista, rimasto orfano dopo il suicidio dei propri familiari e cresciuto assieme ad una bisbetica e folle zia. Un ragazzo incerto e predisposto a soccombere, timido con le ragazze, abitudinario e prudente sino all'eccesso.

Senza tralasciare l'aspetto più movimentato e dinamico della vicenda, e dunque facendoci seguire il destino bizzarro a cui va incontro il traditore, rimasto incastrato col braccio in una buca e per questo testimone di un incubo ad occhi aperti in cui il malcapitato rivive come in una allucinazione alcuni episodi salienti della mitologia giapponese che si intersecano con eventi o situazioni storiche di un più recente passato, ma anche alle atmosfere horror di morti viventi che trattengono conficcato nell'abisso il braccio del rapinatore, in una commistione sadica ma divertente tra samurai, esercito in ritirata e zombies che risulta davvero surreale e divertente, capace di ravvivare e scatenare la verve incontenibile di questo gran regista nipponico. (Per non parlare del balletto tra le donne dapprima svenevoli, poi sempre più tentacolari, in cui viene attirato il bandito traditore, latin lover che soccombe anche al potere femminile, circondato dal ritmo esilarante di due lap-dancers in parrucca bionda dalle movenze e sospiri assolutamente esilaranti).

Una circostanza, quella del ritrovamento del traditore, che permetterà subito dopo al nostro incerto protagonista di raggiungere, nel combattimento e nell'emozione del duello, il riscatto, seppur doloroso, da una vita trascorsa nel grigiore di uno stile di vita appartato e poco protagonista, dopo ore ed ore spese in solitudine nella propria camera a provare la mossa giusta per colpire la palla a baseball.

E l'occasione per confutare, una volta per tutte, che comportandosi onestamente e quasi da eroe, cioè restituendo il malloppo sottratto, anche la personalità più schiva ed apparentemente inetta potrà trasformarsi in un eroe da manuale. Trovando magari anche l'opportunità di condividere la storia d'amore con la ragazza dei propri sogni, quella maldestra e carina che tutte le mattine il nostro timido ed impacciato rappresentante incrociava con la puntualità di un orologio svizzero.

Miracoli e piccole grandi gioie tipiche di ogni commedia che si rispetti: perché Drive è molte cose tutte assieme, ma anche e certamente una commedia sentimentale.

Il disordine narrativo scelto e coordinato con destrezza da Sabu, che rende il film un concentrato di generi non definibile a priori, riesce a mettere in luce altresì la grande capacità del cineasta di sostenere tempi e ritmi davvero accelerati: basti per tutti la scena esemplare dell'incidente a catena nel ristorante, che finisce sadicamente con la punta di una penna a sfera conficcata nel collo dello spione, e tutto l'eco che si porta dietro tra confessioni isteriche ed inseguimenti mozzafiato.

Insomma Drive ci presenta un Sabu senza freni e in preda ad una incontenibile foga narrativa che spazia generi e tendenze, confondendoci forse un po', ma lasciandoci alla fine disorientati e soddisfatti nello stesso tempo, ansiosi di poter continuare a passare in rassegna la cinematografia piuttosto nutrita e a noi pressoché invisibile di un autore tutto da scoprire.

 

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