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For Love's Sake

Regia di Takashi Miike vedi scheda film

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La recensione su For Love's Sake

di OGM
8 stelle

Takashi Miike e il musical. Takashi Miike e la romanza. La potenza estrema, barbara e violenta, si può manifestare anche attraverso il sentimento. Il manga, in fondo, è spesso una rozza coreografia di brutalità, che fa spettacolo con una danza furiosa e indisciplinata: l’espressione corporea, antiestetica, eccessiva, e magari dall’effetto deformante è il linguaggio dell’istinto che cerca una via di fuga, ma è indeciso tra la rabbia e la gioia. D’altronde l’amore non è pace, è un campo di battaglia. È dunque uno stato d’animo urlato, che attinge all’idealismo soltanto per sconnettere l’ordine terreno, spezzare le abitudini, abbattere il sistema delle convenzioni. Ai e Makoto vivono un amore asimmetrico, fortemente voluto da lei, un’adolescente dell’alta borghesia, ma decisamente respinto da lui, un ragazzo sbandato, senza famiglia, dall’atteggiamento ribelle e scontroso, talvolta esplicitamente ostile. Quell’attrazione, tuttavia, non può mancare di sconvolgere le vite di entrambi, tra problemi di soldi, incomprensioni, ed episodi criminali. La gioventù dei protagonisti è una condizione destabilizzante, che trasforma l’ambiente circostante nel teatro di una convulsa inquietudine, nella quale tutti i loro coetanei sono dilaniati dal dilemma tra l’essere se stessi e svolgere il ruolo assegnato loro dalla società. Intanto la gelosia fa a pugni con la generosità, il rancore deve fare i conti con il bisogno di perdonare. E così tutti, infrangendo le regole e rischiando la pelle, finiscono per sacrificarsi, rinunciando alla loro identità, o magari alla loro stessa vita. Il caos è il turbolento brodo primordiale da cui nascono le verità interiori. Gli scenari di questo film sono attraversati da artificiosi raggi di luce colorata, invasi da oggetti buttati lì a casaccio; sono spazi ingombri e variopinti, però di per sé spogli, freddi e desolati. Ad animarli è la lotta senza quartiere di un gruppo di teenager alle prese con il lato crudele dell’eros, che chiede tutto e quasi nulla concede. È una pulsione che emoziona ed alimenta i sogni, che induce a ballare e a cantare, ma che spinge soprattutto verso un’eroica deriva: un viaggio incosciente verso luoghi inesplorati e pericolosi, in cui si sguazza nella melma per la quale si era sempre provata repulsione. Per seguire le ragioni del cuore, la figlia di buona famiglia lascia il liceo d’élite e si trasferisce nella scuola fatiscente di un quartiere malfamato.  La ragazza appartenente alla gang  depone la sua maschera trucida per riconquistare la femminilità. Questa storia si apre e si chiude  con le immagini disegnate di una favola infantile, di un bambino povero che si ferisce per salvare una bambina ricca. È la cornice di un racconto che fa leva sul ricordo di un piccolo miracolo per continuare a volare con la fantasia, andando alla ricerca dell’armonia perduta. Qualcuno, una volta, è stato felice, e vorrebbe tornare ad esserlo. Ad opporsi ai suoi piani è, tuttavia, la tristezza degli altri, che si portano dentro i traumi di perdite, abbandoni, tradimenti. Questi mali sono vortici che seminano il terrore, turbando il quadro della convivenza, distruggendo l’illusione che volersi bene sia una cosa tanto bella quanto semplice. La guerra è inevitabile. Non dichiarata, quindi pasticciata e prolissa. Un conflitto che si trascina come un gioco mal congegnato, procedendo a tentoni, seguendo la smaniosa inesperienza di chi vorrebbe vincere subito. Il film fatica, è vero, a trovare la strada e, dopo la corsa iniziale, resta con il fiato corto, ed è costretto ad arrancare. Ma questo è il ritmo naturale del tormento d’amore: un affanno che annebbia la vista, e, sulla scia di un’amara allegria,  mette a soqquadro il nostro rapporto con la realtà. Ai to Makoto alterna melodia e rap, linearità ed incongruenza, in un andamento che parte all’insegna della solidità e della limpidezza, per poi disperdersi nei torbidi rivoli dell’esistenza. L’immersione nel mondo underground scioglie la fibra delle certezze, e addormenta i sensi con i tiepidi effluvi del fango. La narrazione allora molla la presa, per diventare l’improvvisata cronaca di una rivolta: questo suo smarrirsi è un naufragio nella palude della frustrazione, ed è la cupa indeterminatezza che avvolge il tortuoso passaggio all’età adulta. Per le fiabe, è giunta l’era postatomica.  Le macerie sono ovunque, e la festa prosegue, cattiva, in mezzo ai rifiuti. 

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