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Drift - Cavalca l'onda

Regia di Ben Nott, Morgan O'Neill vedi scheda film

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La recensione su Drift - Cavalca l'onda

di scapigliato
8 stelle

Un azzeccatissimo prologo in bianco e nero, sentitissimo nell’impatto visivo che coniuga sintesi narrativa e bellezza estetica del racconto per immagini, ci porta dritto al centro dell’onda. Con immagini di una grande resa visiva, riprese di ampio respiro e di virtuosa sensibilità per spazi e linee, la regia del duo O’Neill e Nott confeziona un film semplice, stereotipato quel che basta, condotto con mestiere dagli attori, nessuno fuori parte, coinvolgendo non solo i topoi del surf-movie – amicizia virile, fratellanza, la simbiosi con il mare, il piacere suicida per il rischio e l’immancabile colonna sonora seventies – ma innestando in un canovaccio consolidato elementi originali o comunque destabilizzanti come il tema della famiglia e un spiccato senso degli affari tutto anglosassone, oltre al primo tra gli elementi destabilizzanti che è il consumo e spaccio di eroina, spada di Damocle che minaccia il successo della famiglia capitalista.

Abbiamo due fratelli, quello maggiore è coscienzioso, determinato, salutista, stoico nel prendere di petto le situazioni problematiche, interpretato da Myles Pollard, quello minore è ovviamente più seducente, più scapestrato, folle e fatalista, istintivo quanto sentimentale, interpretato da Xavier Samuel in un’improbabile versione cristologica, ma questi sono i seventies bellezza! E già con loro due il mito dei due fratelli, di Caino e Abele, uno favorito e l’altro meno, uno responsabile verso l’altro e questo combattuto dal continuo confronto, rivive in un’accezione più conciliante sostituendo il conflitto con il confronto critico. Ci pensa il terzo brother and mate, interpretato da Aaron Glenane, a creare un minimo di tensione cainita. Con lui la sceneggiatura trova l’elemento dissonante che crea il disequilibrio all’impresa di famiglia, sia sociale che economica.

L’arrivo del rude fotografo sportivo invece, che ha le fattezze ursine di Sam Worthington, se da un lato porta la sana naiveté degli hippies di allora, amore, armonia, karma, dall’altro porta con sé l’irruento machismo decisionista posseduto ed esibito dal fratello maggiore con cui inevitabilmente si scontrerà dialetticamente permettendo così al capofamiglia di trovare i modi per una presa di coscienza più matura del proprio ruolo famigliare. Chiudono il cerchio una bellissima Lesley-Ann Brandt, innamoratissima e devotissima, stereotipo della fidanzata perfetta, e una madre coraggio che si prende sulle spalle l’intuizione dei figli e gli asseconda dandosi anima e corpo per il successo dell’impresa. Con loro, non da ultimo, un anziano lavoratore ex-collega e quasi padre del fratello maggiore, che decide di dare l’intera liquidazione al suo giovane amico per aiutarlo con il negozio da surf. Quadretto migliore no?

Il fatto è che la regia priva il film di qualsiasi facile sentimentalismo, e anche i momenti drammaticamente più alti, come la morte dell’amico fraterno, sono resi coordinando, con un buon impatto visivo, le geometrie della natura con gli sguardi e i corpi degli attori, provocando candore e mai patetismo. Altro punto di forza della pellicola è il ritmo. Buono e continuo il film avanza, snocciola le sue svolte narrative mai banalmente, i personaggi entrato ed escono di scena senza accavallarsi o senza  darci l’impressione che uno sia di troppo. Ci sono caratteri antagonisti che arrivano al punto giusto a destabilizzare la storia e altrettanto puntuali escono di scena. Il tutto cucito insieme da una fotografia perfetta e da riprese che annichiliscono lo sguardo dello spettatore che, se neofita come chi scrive, percepisce davvero di starsene al centro delle onde. L’impressione di cavalcarle è reale.

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