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Uova fatali

Regia di Ugo Gregoretti vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Uova fatali

di yume
8 stelle

Riduzione cinematografica di un racconto di Michail Bulgakov, fantascienza a sfondo politico, satira politica, che il russo scrisse nel 1928.

Ugo Gregoretti

Il toro del pallonetto (2018): Ugo Gregoretti

 

Bulgakov e Gregoretti procedono su binari paralleli per il mezzo usato, libro l’uno, cinema l’altro, ma a distanza di cinquant’anni, bypassate guerre e dittature varie, stermini e anni di piombo, sviluppo senza progresso e “una lavatrice in ogni casa”, il tempo delle mele e quello degli slogan, i due s’incontrano come fossero fratelli di latte rimasti lontani per un po’ e non possono che ridere di tutto quel che vedono (meglio che piangere, infatti).

Bulgakov si preparava a vivere in pieno la favolosa era staliniana, Gregoretti stava attraversando gli anni d’oro della prima Repubblica, tempo un anno e via Aldo Moro, “coraggio, il meglio è passato” diceva Flaiano e il peggio stava arrivando, anche se era difficile crederlo, negli anni ’70 sembrava davvero d’aver toccato il fondo!

Fatto sta che Uova fatali ci stava proprio bene, sia negli anni Venti che nei Settanta, e, diciamolo pure, starebbe molto bene anche oggi.

 

Sinossi

Breve sintesi, inevitabilmente la vis comica e il tratto satirico ne escono spolpati, nulla può sostituire la visione diretta.

Pérsikov (Gastone Moschin) è uno scienziato, passa il tempo al microscopio, ha uno studio comodo e luminoso, il regime lo ama e lui ama la sua indipendenza, la ricerca è tutta la sua vita, fino a che…

Un raggio rosso appare all’improvviso sul vetrino dove sta osservando delle amebe.

Meraviglia delle meraviglie, entrando nell’orbita del raggio le amebe si moltiplicano con ritmo esponenziale, ma soprattutto si caricano di energia, diventano aggressive, perfino “cattive”.

Uno scienziato non si fa problemi morali, la scienza ha il suo credo e lui va avanti con le raganelle, sottoposte al raggio rosso dopo aver fatto costruire dal suo dotto assistente il macchinario adatto per sviluppare la scoperta.

Da quel momento tutto comincia a sfuggire al controllo, le rane si moltiplicano e bisogna ucciderle a colpi di scopa in giro per lo studio, un esemplare sfuggito alla mattanza diventa un enorme rospo gracidante, bisogna chiuderlo in gabbia, Persikov comincia a preoccuparsi:

“Pérsikov provò a convertire i rimanenti venti esemplari di raganella ad una alimentazione a base di scarafaggi, ma anche questi ultimi erano finiti chissà dove, mostrando così un atteggiamentoostile nei confronti del comunismo di guerra”

locandina

L'uomo con la macchina da presa (1929): locandina

 

Coprire tutto di silenzio è impossibile, fuori dallo studio ovattato ferve la civiltà, il progresso incalza, la città è elettrica, Dziga Vertov gira con la sua macchina da presa, i media non danno tregua, le notizie trapelano.

Naturalmente sono riferite ai lettori con la nota acribia giornalistica e il povero Persikov ha i suoi guai a contenere l’assalto di chi crede che sia arrivato il Creatore.

E questo è il meno. C’è un governo che non si lascia sfuggire il bocconcino.

Una tremenda peste avicola sta facendo fuori tutto il patrimonio gallinaceo del Paese, siamo in piena NET, piano di sviluppo quinquennale, il mondo ci guarda, Stachanov è l’eroe nazionale, un operaio e uomo di famiglia. Insomma servono polli, anzi pulcini, anzi uova, e, come Gesù con i pani e i pesci, bisogna moltiplicarli.

Cosa meglio della scoperta di Persikov? Il suo raggio rosso diventa un affare di Stato, solerti funzionari trattano, lui resiste, il più ambizioso prende iniziative e fa la frittata, è il caso di dirlo.

Un carico enorme di uova di gallina fatto arrivare dall’estero per essere ingigantito e moltiplicato viene scambiato con un carico di uova di rettili destinato all’emisfero opposto.

Facile immaginare il resto e il finale.

 

Guardato con sospetto da Stalin, impedito di compiere viaggi all’estero e di pubblicare le proprie opere, Bulgakov non visse a lungo e certo non visse bene, ma nulla gl’impedì di ridere del mondo falso che lo circondava.

La messinscena di Gregoretti è perfetta, la sceneggiatura esalta lo spirito caustico del testo,

un’ironia sottile e graffiante serpeggia e il cast è nel pieno della forma, da Persikov, lo scienziato che in un giorno è capace di bocciare 76 studenti, e pure marxisti, ma gli perdonano tutto, solo lui può salvare il piano quinquennale, al fedele assistente Pankrat (Santo Versace) muto e obbediente, passo breve e strisciante, al tronfio Rokk, emissario di Partito (Bruno Alessandro) per cui “prima agire poi pensare” è regola e credo, alla schiatta dei giornalisti, tutti bisuntuosi e tutti maltrattati, ciononostante tutti pronti a scrivere a caratteri cubitali frasi ad effetto che della scienza e della verità accertata si fanno un baffo.

 

Fra un precipitare e l’altro delle situazioni Gregoretti allestisce siparietti gustosissimi di pura propaganda sovietica, villaggetti lindi e fioriti, solerti contadini curvi nel lavoro dei campi e sprizzanti felicità, belle contadine prosperose e operaie sorridenti alla catena di montaggio, qualche Pope sopravvissuto che sembra più comunista dei comunisti.

Su tutto s’impone la città, una Mosca negli anni della grande trasformazione, dell’inurbamento massiccio, della carenza di alloggi e dello sviluppo dei grattacieli/casermoni di inconfondibile architettura staliniana.

Una città in fibrillazione ricostruita in studio con la tecnica del chroma key. che Gregoretti spiega nel documentario finale, uno dei modi che il cinema inventa per rispecchiare il mondo.

Mosca è una città, scrive Bulgakov, che scintillava di luce e traboccava luce, riluceva e danzava e baluginava, nelle notti, fino al mattino, e al mattino si spegneva, indossava il fumo e la nebbia.“

 

La musica di Fiorenzo Carpi commenta le scene con allegro concerto di ottoni e timpani, accentua l’enfasi ironica con violini graffianti, carica l’horror di suoni agghiaccianti quando mostruosi coccodrilli e serpenti che sono di gomma ma divorano lo stesso i malcapitati riempiono lo spazio, tace quando prevalgono le urla selvagge dei distruttori del laboratorio, mandato a fuoco con il nostro scienziato sanguinante e di lì a poco defunto.

Le masse non perdonano “e il professor Persikov si spense come si era spento il raggio rosso scoperto in una notte di aprile”.

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