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La scelta di Barbara

Regia di Christian Petzold vedi scheda film

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La recensione su La scelta di Barbara

di OGM
8 stelle

L’anno scorso si chiamava Pina. Quest’anno si chiama Barbara. È la protagonista del film che rappresenterà la Germania agli Oscar 2013. Una donna fuori posto, deportata, per punizione, dalla capitale ad un paese di provincia. Un medico diviso tra il senso del dovere e la passione per il proprio mestiere, da un lato, ed il desiderio di amore e libertà, dall’altro. La dottoressa Wolf vorrebbe lasciare la Germania Orientale e fuggire all’estero con il suo uomo. Tutto è pronto per la partenza, che deve avvenire di notte, da una spiaggia. Nel giro di pochi giorni, però, in quel luogo si generano legami così forti da prevalere sull’insofferenza per quella prigionia, e per le persecuzioni a cui è soggetto ogni sorvegliato speciale. Mentre lei guarda al lontano orizzonte della propria felicità, lì accanto ci sono altri che hanno bisogno della sua presenza. Stella è una ragazzina sfruttata in un campo di lavoro, che è incinta e si ammala di meningite. Mario è un adolescente che ha tentato il suicidio per una delusione sentimentale. Nel piccolo ospedale pediatrico diretto dal dottor André Reiser, la sofferenza è un fatto ben più concreto e doloroso che l’amarezza per un ideale tradito. Barbara scopre che la solitudine è una condizione che dipende unicamente dall’importanza che attribuiamo alle persone che ci circondano. Ci sentiamo isolati soltanto quando crediamo di avere intorno tanti nessuno, esseri che scompaiono se confrontati con il nostro vagheggiamento di un mondo diverso, e infinitamente migliore. Anche la disadorna tristezza dell’Est è palpitante di umanità, ed è costellata di piccole cose preziose. Barbara, in un primo momento, non le vede, tanto è convinta di essere finita in mezzo a un deserto. Il suo iniziale atteggiamento è improntato alla difesa dei propri spazi vitali, che vanno protetti dall’incombente minaccia di un vuoto popolato di spie e traditori. In quella landa sperduta, solo la sua clandestinità riesce a trovare un territorio adeguato; i campi, i sentieri, i prati, i boschi sono la culla naturale dei suoi giochi segreti, che approfittano della desolazione dell’esilio per avvicinarsi alla dimensione rarefatta del sogno da favola che si può avverare. Il nulla asseconda la leggerezza della fantasia, accorciando il cammino verso la sua realizzazione. Nella vastità della campagna è più facile incontrarsi di nascosto e scambiarsi plichi e messaggi. In assenza di alternative, ci si può concentrare su quello scopo, tenendo a bada i pericoli, che, per fortuna, sono facilmente individuabili: a rappresentarli è l’ufficiale Schütz, che con la sua automobile, si ferma davanti a casa sua, e a volte entra per perquisirla a fondo. L’appartamento è disadorno, come per agevolarlo nel compito, in modo che faccia in fretta e se ne vada presto. Ci sarebbe, come unico oggetto interessante, un pianoforte, ma forse non vale la pena di prenderlo in considerazione, farlo accordare per mettersi a suonare. La noncuranza di Barbara  nasce da una sensazione di provvisorietà: quel posto deve soltanto fungere da stazione di passaggio, un trampolino di lancio verso un futuro ben più ricco e definito. Gli eventi che dovrà affrontare sul lavoro, tuttavia, la coinvolgeranno, poco a poco, rendendola parte di quella realtà, ed assegnandole, suo malgrado, una funzione specifica e fondamentale, oltre che perfettamente tagliata sulla sua personalità, al contempo freddamente analitica e finemente sensibile. Scoprire di essere qualcuno anche senza le proprie aspirazioni di sempre, ed accorgersi che restare richiede molto più coraggio che andare via: è il viaggio che si ferma per aver raggiunto, prima del tempo, un traguardo del tutto imprevisto. La sfera individuale si affranca dalla componente politica ed abbraccia, con la spontaneità del cuore, e senza implicazioni ideologiche, la profondità dei rapporti umani. Il tradizionale cinema d’oltrecortina,  indipendente o di regime, in tutte le epoche, ha consegnato il suo messaggio all’analisi sociologica, per esaltare o criticare il sistema.  Il regista tedesco Christian Petzold ci riporta indietro di trent’anni per guardare l’universo al di là del muro da una prospettiva diversa: un grigiore punteggiato di minuscole luci, che il destino o la volontà umana possono accendere e rendere grandi. Il romanzo non conosce confini. E, in mezzo al silenzio di un mondo chiuso e addormentato, la sua voce sommessa produce un’eco potente.

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