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Headhunters - Il cacciatore di teste

Regia di Morten Tyldum vedi scheda film

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La recensione su Headhunters - Il cacciatore di teste

di alan smithee
8 stelle

Thriller danese tosto ed adrenalinico, spigliato ed esagerato nel suo concitato susseguirsi di colpi di scena, ma girato molto bene, nel rispetto di una tensione crescente che riesce a farsi perdonare ogni sua inevitabile improbabilità di fondo. Aksel Hennie, bravo attore da noi ancora sconosciuto, è protagonista ed io narrante (ad inizio e fine pellicola) di un incubo ad occhi aperti che colpisce la sua persona, ("Mi chiamo Roger Brown, sono alto 1 metro e sessantotto" confessa all'epilogo, e questo in effetti è l'unico aspetto davvero difficile da accettare, l'unico cruccio a cui non può porre rimedio, soprattutto se hai per moglie una stangona bionda alta una spanna più di tre). L'attore impersona un biondo e giovane manager rampante, esperto collocatore di personale specializzato nei postoi chiave del mercato lavorativo, lecito ed illecito ovviamente, uno spregiudicato yuppie che vive sopra le sue possibilità in una villa high tech con la splendida altissima moglie osservando un menage che non può effettivamente permettersi. Per questo a tempo perso si improvvisa  e in tal modo ritrova liquidità, organizzando minuziosi furti di dipinti preziosi, che sottrae sostituendoli con copie perfette. Tutto ciò approfittando delle informazioni riservate o quanto meno privilegiate ricevute grazie ai party organizzati dal negozio d’arte diretto dalla bella consorte. In tal modo l'intraprendente manager riesce ad utilizzare i proventi della ricettazione dei preziosi per pagare mutuo e tutte le spese legate alla vita brillante che neppure troppo gli piace, ma che è convinto non possa mancare alla statuaria consorte.
L’incontro ad uno dei tanti ricevimenti con un affascinante uomo d’affari misterioso  entrato nella vita della coppia senza una chiara dinamica (e per nulla indifferente alla grazie della moglie, da questa peraltro molto probabilmente ricambiato), costituisce l’inizio per Roger Brown (questo il suo nome) di un incubo senza fine, un percorso ellittico nei inferi della violenza e del complotto sadico che lo renderanno un fuggiasco pedinato senza tregua dall’affascinante killer, esperto in inseguimenti e dotato della tecnologia necessaria per non farselo sfuggire.
Una fuga concitata che si lascia dietro una adeguata scia di sangue e morti violente, resa bene da una sceneggiatura che sfrutta bene la verve creativa di Jo Nesbo a cui si ispira e parimenti grazie ad una regia abile nel coinvolgere lo spettatore in un crescendo di colpi di scena magari poco plausibili, ma ben congegnati, in grado di tener desto anche lo spettatore più esigente. Ottimo il protagonista biondo e minuto Aksel Hennie, aria da bambino furbo che sa di riuscire a cadere sempre in piedi, almeno fino a che gli eventi più incredibili non gli piovono addosso con la prepotenza di un meteorite inarrestabile. Nei panni dell’organizzatissimo e inarrestabile killer, il bell'attore  Nikolaj Coster-Waldau, già alle soglie della notorietà (era co-protagonista assieme alla Chastain del recente horror "La madre"), spicca per l’avvenenza insuperabile ed altera, quasi sprezzante e ben appropriata alla cattiveria enza redenzione del suo personaggio: una appariscenza che ben si abbina alla bellezza folgorante della bionda stangona che impersona la moglie (sin troppo) statuaria del nostro piccolo biondo protagonista (è Julie R. Olgaard, senza dubbio una modella), afflitto, almeno inizialmente, da un complesso di inferiorità che tuttavia cesserà di opprimerlo completamente una volta giunti all’epilogo (Mi chiamo Roger Brown,…sono alto 168 cm ....e mi bastano).

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