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Love Is All You Need

Regia di Susanne Bier vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Love Is All You Need

di alan smithee
6 stelle

Insolita e rischiosa svolta nella commedia leggera da parte della celebre regista premio Oscar danese Susanne Bier che, fresca reduce dal riconoscimento più prestigioso, scende dal nord in terra partenopea a girare la sua commedia sentimentale brillante ma dai risvolti e retrogusto amarognoli per gli strascichi drammatici che, senza farlo pesare, si porta dietro di sé con una disinvoltura che sconfina nell'abilità di scrittura e di impostazione della sceneggiatura.
Rischiosa perché ormai atterrare da pianeti così lontani in una landa italica così popolare e facilmente portata ad essere travisata nella più bieca a stolida superficialità e nel luogo comune più becero e ripetitivo, sono in tanti ad esserci cascati clamorosamente e con risultati spesso demoralizzanti: anche autori di razza come Allen col suo ultimo disastro cartolinesco romano, ma se vogliamo (con molta più dignità) pure il penultimo Kiarostami toscano faticava molto a convincere, per non parlare di altri filmacci americani come "Mangia prega ama" e persino horror di un certo budget come il recente "Il rito".
Il film della Bier però lo porrei a metà strada tra una gran bella commedia di un autore che (come pochissimi altri) non ha mai perso un colpo in tutta la sua lunga carriera e un film decisamente più modesto (ma non ignobile come fu dipinto alla sua uscita alcuni anni or sono) di Audrey Wells del 2003: Il primo era lo scatenato "Cosa è successo tra tuo padre e mia madre" di Billy Wilder, ambientato proprio nel sorrentino come il film qui presente, l'altro era il molto più modesto ma non infame "Sotto il sole della Toscana", con Diane Lane e Raul Bova, di ambientazione toscana ma con sconfini in zona amalfitana.
A metà strada tra i due perché la Bier evita di farsi soggiogare e soffocare dalla maestosità del luogo senza rinunciare a mettercene di fronte la sua bellezza sfacciata e prorompente, che non si vergogna di accostare quasi senza pudore con la gelida compostezza ed il grigiore di una sua Danimarca così controllata, organizzata, ma pure asettica e cruda, acerba di sentimenti ed umanità, di calore umano e complicità. Un po' come faceva il grandissimo Billy Wilder, che tuttavia riusciva a travolgere, con una storia rocambolesca e sin complicata, un intrigo di situazioni che finivano, con più efficacia rispetto a questo film, per far scordare certe ingenuità da cartolina che anche qui inevitabilemente non mancano, pur riuscendo a non infastidirci. La Bier infatti domina la matassa degli avvenimenti con destrezza e con una naturalezza quasi sfacciata, contando su prove attoriali che sono il vero segreto della riuscita del film. E se la bellissima cinquantenne Tryne Dyrholm ci fa innamorare del suo splendido personaggio tra il comico-impacciato e il drammatico versante di una malattia che non sempre perdona e dimentica, la parte del leone la fa certamente Pierce Brosnan. Attore nato bello, molto bello, ma non certamente manifestamente ed inequivocabilmente bravo, Brosnan, ancora un bel fisico a sessant'anni pur non rinunciando ad ostentare ironicamente qualche chilo di troppo, è la dimostrazione di come buoni interpreti lo si possa pure diventare anche con l'esercizio, se non si ha la fortuna di nascere con le doti naturali di un "al pacino".
E il suo personaggio di arrogante uomo d'affari vedovo e svuotato finisce per incantarci con lo spessore di una sofferenza che Brosnan stesso probabilmente ben conosce e ricorda (perse pure lui nella vita reale la sua consorte), rendendo plausibili persino certe altre scene un po' inverosimili in cui ad esempio l'imprenditore che egli interpreta ci spiega tutto sugli effetti nefasti della cocciniglia ai danni di quegli agrumi locali che nel film dilagano ed invadono pressoché ogni inquadratura.
E se un po' deboli appaiono gli attori giovani, carini ma recitativamente inconsistenti, per fortuna il cast annovera in due ruoli sopra le righe davvero fondamentali due attori già ben noti a noi cinefili conoscitori della cinematografia danese degli ultimi due decenni come Kim Bodnia nella parte del marito insensibile e gretto della parrucchiera Ida, e Paprika Steen in quelli della cinica volgarissima cognata dell'imprenditore ortofrutticolo Brosnan.
Lo sguardo trasognato di Ida quando vede entrare il suo James Bond nel suo negozio da parrucchiera di borgata vale il prezzo del biglietto di un film con parecchi difetti, ma che riesce davvero a farsi amare e a rendersi simpatico sin più di quanto meriti, facendosi perdonare, tra le altre cose, una colonna sonora caciarona e in fondo assai dozzinale a base di Ricchi e Poveri e di un That's Amore troppo scontato, per giunta storpiato chissà da chi.

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