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Love Is All You Need

Regia di Susanne Bier vedi scheda film

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La recensione su Love Is All You Need

di leporello
6 stelle

Cimentarsi con la commedia sentimentale è sempre pericoloso, ancor di più se la frequentazione con quel genere non è mai stata troppo assidua. Così accade che l’ottima Susan Bier insieme al suo fido co-autore Anders Thomas Jensen (scuola di cineasti coi peli sullo stomaco), lecitamente desiderosa di alleggerire un po’ il suo curriculm-vitae culminato di recente con un meritatissimo premio Oscar per “In un mondo migliore”, pur riuscendo ad evitare situazioni troppo conosciute e banali grazie ad una sceneggiatura accurata e complessa fin oltre le apparenze, non trova nessun guizzo particolare, lasciandosi appiattire suo malgrado dal genere stesso. Forse è l’Italia che porta male, o meglio: porta inevitabilmente cattivi consigli; se già sui titoli iniziali la strascicata, nauseante voce di Dean Martin comincia subito a procurare fastidiosi pruriti, il reiterato utilizzo di “That’s amore” come jingle per tutto il film (per non parlare del resto della colonna sonora, sulla quale stendere un patriottico, pietoso velo) tradisce una retorica questa sì banale e stucchevole, oltre al fatto di non essere riuscita a sottrarsi alla tentazione cartolinistica nel filmare, inquadrare, fotografare, illuminare “l’ItaGlia”, senza pizza, ma coi limoni. E sempre col mandolino in mano. Chi meglio di tutti riesce a divincolarsi dal perfido tranello latino è curiosamente Pierce Brosnan, attore che con Susan Bier sembrerebbe starci come un cavolo a merenda, e che invece interpreta ottimamente il personaggio affidatogli senza crogiolarsi troppo nel suo fascinoso stile di zerozerosette, ma anzi curando approfonditamente ogni sfumatura. Bravissima (ancor di più) Tryne Dyrholm e sempre in gamba, seppur imbolsito, il vecchio Kim Bodnia. Meno convincenti i giovani, incluso il gomorroico Ciro Petrone, ormai lanciato (ahimè) in una carriera con la quale non ha nulla a che fare.  Chissà…. avesse pensato a un’isola greca, o a un villaggio sul Mar Nero, meno condizionata dagli stereotipi allucinogeni derivanti dagli effluvi di basilico, forse Susan Bier avrebbe realizzato un film diverso, non difficilmente migliore di questo, magari senza violentare la sua indole Zentropiana, e i personaggi di questo film (sbagliato sin dalla titolazione, internazionale e danese insieme) che pur erano stati zentropianamente concepiti. Ultimo appunto: ma non dovevano esserci anche i Beatles?

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