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Giochi d'estate

Regia di Rolando Colla vedi scheda film

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La recensione su Giochi d'estate

di OGM
6 stelle

Marie vorrebbe conoscere il padre che non ha mai visto. Nic, invece, vorrebbe che il suo la smettesse, una buona volta, di litigare con sua madre e, soprattutto, di picchiarla. Succede durante l’estate, in un campeggio della riviera grossetana. Due famiglie, l’una di Ginevra, l’altra di Roma, si incontrano per caso, in quel luogo affollato di turisti, ma per loro non è una vera vacanza. Entrambe sono spaccate, e la ferita continua a fare male. Per i due ragazzini protagonisti, l’atmosfera campestre e balneare non basta a distrarli dai rispettivi dolori. Anzi, forse, è proprio la temporanea assenza di pensieri quotidiani, ad accentuare il senso di smarrimento, evidenziando le anomalie che impediscono loro di godersi quella parentesi di libertà. Le loro tensioni interiori contaminano anche i loro giochi, pieni di risvolti macabri e crudeli: una capanna isolata, al margine di un campo di grano, diventa il teatro di torture, approcci sessuali, piccoli episodi di sadismo. Ognuno di loro ha una pena che grava sul cuore. Ciò vale anche per il piccolo Lee, il bambino cinese che aiuta il padre dietro il bancone di un bar, e si vergogna di lui, perché non ha mai imparato a parlare l’italiano. I genitori sono l’esempio negativo, la lacuna da colmare, l’errore da correggere. Eppure continuano ad imporre ai figli la loro dannosa imperfezione: Agostino è stato battezzato col nome del nonno,  per rispetto nei confronti di quest’ultimo, benché fosse un uomo profondamente ignorante.  L’umiliazione è una pratica che si tramanda di generazione in generazione. Ne fanno parte le violenze fisiche, la volgarità verbali, le debolezze, ma anche le reticenze e le bugie che creano incertezza,  e magari alimentano false speranze. Nic, Marie ed i loro compagni ne sono vittime, e reagiscono sfogando la propria rabbia tra di loro, in una finzione che ha un sapore troppo realistico per essere solo uno scherzo. Ne fanno le spese anche alcuni animali: una lucertola, un ragno, il povero cane di un contadino. Il tutto per divertirsi senza ridere, però sperimentando il brivido di sentirsi forti, almeno per qualche minuto. Il regista svizzero Rolando Colla ci ripropone l’anima di Stand By Me immergendola nel languore agostano della provincia italiana, dei punti di ritrovo improvvisati in cui la gente, per pigrizia e sciatteria, si lascia andare al peggio di sé.  I corpi si spogliano, sotto il sole, e con essi anche la verità si ritrova nuda, priva della sbrigativa copertura d’ipocrisia di cui  usa vestirsi nei tempi normali. L’idea ci è familiare, ed è messa in pratica con l’interesse di un osservatore attento, che conosce ed ama la materia: l’autore – che è nato a Schaffhausen, ma è figlio di nostri connazionali – si rifà al linguaggio cinematografico, di stampo popolare, che più ci caratterizza: fonte ispiratrice è la commedia all’italiana, incupita dalle ombre del dramma sociologico contemporaneo, ma addolcita dal registro televisivo delle fiction.  L’operazione si può dire tecnicamente riuscita, benché risulti emotivamente fredda. Un gelido scrupolo circonda il racconto, amaro e cinico, della perdita dell’innocenza: il quadro è limpido, ed il concetto è sviluppato con chiarezza, in tutta la sua desolante inesorabilità. Ma il problema è che questa, forse, in fondo, è una storia vecchia.
 
Questo film è stato il candidato svizzero al premio Oscar 2012 per il migliore film straniero.

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