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La porta dell'inferno

Regia di Teinosuke Kinugasa vedi scheda film

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La recensione su La porta dell'inferno

di kikisan
6 stelle

Giappone 12°secolo. Dopo aver contribuito a sventare uno dei tanti colpi di stato che a quei tempi dilaniavano la nazione, il samurai di modeste origini Moritoh (Kazuo Hasegawa) si ritrova di fronte all'imperatore che vuole assegnare premi e privilegi a chi si è distinto nella lotta a difesa del suo potere. Moritoh, samurai fedele, nonostante che il di lui fratello avesse partecipato attivamente al tentativo di "golpe", rivolge una richiesta molto particolare al suo signore: chiede in moglie la cortigiana Kesa (Machiko Kyô). Questa - durante la guerra - si era distinta a sua volta per aver sostituito la figura della sorella dell'imperatore al fine di creare un diversivo e sviare gli assedianti. Proprio in quel frangente Moritoh ha l'occasione di salvarle la vita e di rimanere folgorato dalla sua bellezza. L'imperatore accetta di buon grado la richiesta di Moritoh, ma c'è un problema: Kesa è già felicemente sposata a Wataru, samurai leale e di nobili origini. Kesa ovviamente rifiuta la proposta di Moritoh e nonostante tutto Wataru capisce e forse sottovaluta le richieste pressanti del suo improvvisato rivale. L'ossessione di Moritoh nei confronti di Kesa diventa semopre più insana e pressante; il samurai si spinge addirittura a ricattare mortalmente la bella cortigiana, arrivando fino a convincerla apparentemente a congiurare con lui per uccidere il di lei marito. Kesa compirà una scelta estrema: all'insaputa di Wataru, fa in modo di sostituirlo all'interno della camera da letto e si farà uccidere in sua vece dall'ormai folle Moritoh.
Questa pellicola ha sorprendentemente vinto la Palma d'oro al Festival di Cannes nel 1954 e l'Oscar come miglior film straniero nel 1955. Questo successo fu quasi considerato uno scandalo da parte dei critici giapponesi dell'epoca; non li posso assolutamente biasimare, perchè in quegli anni la cinematografia giapponese aveva toccato vette inarrivabili (Kurosawa, Mizoguchi, Ozu). Un esempio per tutti - tanto per capirci - nel 1953 venne girato da Mizoguchi "I racconti della luna pallida d'agosto" (Ugetsu Monogatari): uno dei film più belli della storia del cinema! Ma allora cosa può essere stato il fattore chiave dell'enorme apprezzamento di questa (a mio avviso) abbastanza modesta pellicola del regista Teinosuke Kinugasa? Probabilmente il fattore principale è che si tratta del secondo film a colori giapponese; probabilmente gli spettatori occidentali sono rimasti ammaliati dal pregevole cromatismo del film e dai costumi sgargianti e ricercati. La scena iniziale dell'assedio è un tripudio di colori, corredato anche da pregevoli movimenti di macchina; perfino le bardature dei cavalli risultano policromatiche al fine di rendere ancora più suggestivo l'effetto. Le armature dei samurai sono tutte variopinte come d'altronde i loro kimono. Logicamente il meglio ci viene offerto con gli abiti della bellissima ed eterea Machiko Kyô.
Rimane da parlare del codice etico del samurai; qui, chi conosce abbastanza bene le dinamiche, dopo aver visto le nobili pellicole di Kurosawa e perchè no di Mizoguchi (La vendetta dei 47 ronin), non può fare altro che inorridire! Curiosa ed anche interessante la reazione finale del marito di Kesa (Wataru), il quale compie la vendetta nei confronti del folle Moritoh quasi perdonandolo. Dura - invece - la reazione nei confronti della moglie assassinata: biasimandola di non avere condiviso con lui le sue paure.
Il titolo del film prende il nome dalla porta della città, dove normalmente venivano appese le teste dei traditori dell'impero o in subordine venivano scritti i loro nomi.
Disponibili i sottotitoli in inglese e spagnolo.

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