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Il giorno in più

Regia di Massimo Venier vedi scheda film

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La recensione su Il giorno in più

di M Valdemar
2 stelle

Fabio Volo, attore, presentatore televisivo e radiofonico, scrittore, sceneggiatore, ma anche astronauta, rabdomante, dongiovanni, sciamano, fisico quantistico, bergamasco.
Qualcosa non quadra … Bergamasco?
Insomma, un artista poliedrico, definibile il Leonardo da Vinci dei nostri tempi.
Bei tempi, non c'è che dire "non c'è che dire". Che dire?
Le cronache dicono che il suo “libro" [sta scritto sopra che è uno scrittore!], Il giorno in più, da cui è tratto l’omonimo film, ha venduto circa un milione di copie. Un milione?
Un milione di deficienti sarebbe un insulto, non si dice. E poi il popolo/pubblico è sovrano, se sono così in tanti a leggerlo vorrà pur dire qualcosa, è un segnale che va interpretato, incontra e sviscera i problemi e desideri della gente comune che si identifica e bla bla bla. Ecco, pure le frasi fatte (di crack tagliato male) ci sono, non facciamoci mancare niente.
Ma lasciamo stare questioni misteriose e irrisolvibili (e per i quali ci sono apposite commissioni parlamentari che senz’altro faranno luce). Arriviamo al dunque, alla pellicola. Magari non è neanche malaccio, si potrebbe pensare. E allora avete pensato male.
Il giorno in più è noiosissimo e lunghissimo (quasi due ore). Era meglio un giorno (un’ora) in meno.
Una storia romantica banale di cui non si sentiva certo il bisogno, ma che se non ce ne fossero già state circa millequattrocentoventidue prima, allora sì che avrebbe i suoi perché. Perché? Mah, ci sono questi due personaggi che s’incontrano e incrociano i loro sguardi, si amano, si lasciano, si ritrovano. Fine. In mezzo c’è tanta roba, trita e ritrita, scenette che si potrebbero recitare a memoria per quanto sono prevedibili e straviste, un umorismo scialbo e ripetitivo, comprimari-macchiette che si confondono con quelle di molti altri film, l’immancabile lieto fine. Che non è che disturbi così tanto (anche se, come dice la Ragonese un paio di volte, “quando finisce bene è perché è una cagata“), ma, davvero, c’è un’esagerata e pompatissima serie di circostanze altamente inverosimili, alla ricerca, sicuramente, di quell’effetto “serendipità” che non può che mietere vittime dall’animo docile e sentimentalmente bisognoso. Effetto che non c’è: manca la magia, così come mancano gli attori, il regista, gli sceneggiatori.
Fabio Volo sta sempre al centro della scena, ingordo d’attenzione e di simpatia, ad imporre/esporre un personaggio (costruito a propria immagine e somiglianza) ch’egli considera interessante e in cui ci si può immedesimare. Invece è farsesco e insignificante - come tutte le sue battute e le sue trovate da “sfigato” che vuol farci bere -, ed inoltre è estremamente irritante per quanto è incapace di recitare. L’altra protagonista, Isabella Ragonese, non è molto meglio, confusa e smarrita in un ruolo scritto malissimo. Come tutto il resto: non c’è un minimo di definizione logica e caratterizzazione dei personaggi, sia principali sia secondari, per non parlare della vicenda in sé, colma di dialoghi penosi e situazioni spesso imbarazzanti per la pochezza, anche tecnica, con cui sono realizzate.
Coinvolti in quest’opera così insipiente anche alcuni nomi “illustri” nei ruoli di contorno (com‘è abitudine, ormai): Stefania Sandrelli, Lino Toffolo, Roberto Citran. Ed, infine, anche Luciana Litizzetto: collega livorosa di Volo che, in un’unica (insulsa) scena, in ascensore, riesce in trenta secondi a pronunciare una decina di volte la parola “merda”. Una comparsata di merda.
La “materia” di cui è fatta buona parte dell’attuale cinema italiano.





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