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Porfirio

Regia di Alejandro Landes vedi scheda film

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La recensione su Porfirio

di OGM
8 stelle

Porfirio Ramirez interpreta se stesso. Un uomo a metà. Un uomo tutto d’un pezzo. Una pallottola sparata dalla polizia gli ha accidentalmente lesionato la spina dorsale, causandogli la paralisi degli arti inferiori. Non potrà mai più camminare. Tuttavia, con  l’aiuto costante del figlio e della compagna, in fondo, se la cava bene. Abita in un locale situato al livello della strada, in un quartiere popolare di una cittadina colombiana. Un ambiente povero e disadorno, privo di comfort, ma pulito ed ordinato. Porfirio vi si muove con disinvoltura, e c’è sempre qualcuno pronto ad assisterlo amorevolmente. Ma le esigenze della vita richiedono di avere denaro da spendere. Ad esempio, per poter comprare una nuova sedia a rotelle. Non bastano i pochi soldi racimolati noleggiando il suo cellulare ai vicini che non possiedono un telefono. Certo il ricco risarcimento promesso dallo stato risolverebbe molte cose. Se solo la pratica venisse finalmente evasa. Nell’attesa Porfirio prosegue la sua normale esistenza, nella quale non rinuncia a nulla: continua a concedersi il piacere di fare la doccia con la sua donna, ad andare a letto con lei, a provare a stare in piedi con gli apparecchi alle gambe, a giocare con il cane, a recitare poesie e sognare ad occhi aperti. La fatica meccanica che accompagna quelle azioni così comuni non toglie nulla alla  splendida semplicità di un’anima che, nonostante i limiti fisici e le ristrettezze materiali, è in grado di assaporare profondamente ogni istante. L’obiettivo di Alejandro Landes indugia con ammirazione sull’appassionata fermezza di quella persona che è stata in grado di trasformare una disgrazia in una prova di forza: un cimento virile in cui i muscoli e il cuore si dimostrano potenti e perfettamente funzionanti, anche dopo che un brutto scherzo della sorte si è portato via una parte di lui. Ciononostante, quel vigore, alla lunga, può rivelarsi un terreno di coltura per la rabbia: quella provata di fronte ad una clamorosa ingiustizia, nella quale al danno commesso si risponde con una disumana indifferenza. Per Porfirio è ben difficile, nella sua situazione, sopportare l’idea che ci si sia dimenticati di lui. La nicchia domestica di calore e di tranquillità in cui si è rifugiato comincia a diventare una prigione mano a mano che l’insicurezza economica cresce, ed il futuro si presenta sempre più fosco. Essere diverso dagli altri inizia allora a pesargli, nel momento in cui quella differenza non è solo il frutto della malasorte, bensì il marchio di una discriminazione, di uno svantaggio inflitto per colpa e negligenza. Porfirio si sente improvvisamente una vittima sacrificale: il debole che è stato prima massacrato e poi sbeffeggiato dai potenti. Un essere la cui dignità è stata irreparabilmente calpestata. Ed è allora che decide di passare all’azione, in un modo che, di questi tempi, è sicuramente destinato a fare grande scalpore. A bordo di un aereo, Porfirio interpreterà il ruolo del terrorista suicida. Un uomo piccolo, appartenente al rango degli invisibili, deciderà di inserire il suo dramma personale nella scia dei grandi conflitti planetari. Sarà un Davide che si intromette in una sfida tra titani, usando le armi inventate dai micidiali Golia della guerra santa. La miseria, per una volta, semina un terrore gelido e spoglio,  che è frutto diretto dell’indigenza nel senso più concreto del termine, e per questo è molto più agghiacciante di quello infiammato dai fervori religiosi. Diretto, nitido e tagliente è anche lo sguardo con cui la macchina da presa riprende la quotidianità di Porfirio, eccezionale tanto nella sua durezza, quanto nella coraggiosa e sobria  disinvoltura con cui quest’ultima viene affrontata. Porfirio è lo statuario ritratto di un disagio che parte dal corpo per farsi progressivamente strada nell’anima, scavando con lo stesso ritmo lento, ma determinato, con cui il protagonista muove i suoi affannosi passi attraverso il suo minuscolo mondo.  

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