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Shadows

Regia di Tom Forman vedi scheda film

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La recensione su Shadows

di casomai
6 stelle

"Non schiacciare quel ragno: potrebbe essere Lon Chaney", si diceva negli anni '20. E ancora oggi, quando il protagonista è Chaney, meglio tenere la guardia alta in attesa della sorpresa finale. In Shadows del 1922, noto anche al pubblico italiano come "L'asiatico", l'uomo dai mille volti compare nel ruolo dimesso del cinese Yen Sin. Schiena curva a 45°, ginocchia piegate (anche per sembrare più basso di quanto in realtà non fosse), palpebre semichiuse, lo sguardo stolidamente impassibile per quasi tutto il film. Più agnostico che pagano, come lo definiscono i suoi concittadini, rifugge in modo mite ma fermo da ogni tentativo di conversione al credo locale, preferendo una vita da reietto all'assimilazione forzosa. Ancora una volta, Chaney interpreta un diverso: non si tratta però, giusto per cambiare, di un criminale o di un aborto della natura, ma di un uomo che gioisce e soffre come ogni altro uomo, di un uomo che cerca di vivere la sua vita in virtù di un'etica e di una pietas che solo pochi comprendono o, quanto meno, rispettano. Ma i film di Chaney non sono mai studi sociali fini a se stessi, e lo spettatore si trova presto immerso in una trama gialla a tutti gli effetti. La scialba regia di Tom Forman fa quello che può per depistare il pubblico, ma la sceneggiatura non aiuta. Il colpevole si scopre in un interminabile dénouement finale, il cui clou è la trasfigurazione fisica, attesa per tutto il film, dell'umile Yen Sin. Il volto si atteggia a un incontenibile empito di rabbia e gli occhi si spalancano spasmodicamente, fino quasi a schizzare dalle orbite. Le ombre (shadows) che hanno avvolto l'esistenza dei due coprotagonisti, impedendo la corretta interpretazione della realtà, possono dissiparsi. Ma il prezzo collaterale da pagare, come sempre nei film di Chaney (vedi anche il mio commento a The Penalty), è il sacrificio del diverso, per quanto onorevole sia o si sia dimostrato, e il ricollocamento della società nei binari consueti. La fine di Yen Sin, nonostante tutto, non provoca grande emozione tra gli astanti. Il reverendo Malden, in un discorsetto di circostanza, lo lascia praticamente al suo destino, e sua moglie Sympathy, nonostante il suo nome e un timido tentativo di ribellarsi alle argomentazioni poco cristiane del marito, lascia perdere anche lei. E Lon Chaney, il diverso, scompare così ancora una volta, in una scena di indubbio effetto drammatico. Scompare, sì, ma non per sempre: solo finché non si reincarnerà in un nuovo avatar, per ricordarci ancora una volta il lato oscuro delle nostre certezze.

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