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Terraferma

Regia di Emanuele Crialese vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Terraferma

di laulilla
8 stelle

Premio Speciale della Giuria per la miglior regia a Venezia nella Rassegna del 2011 e successivamente poco distribuito e poco visto. Peccato, perché, purtroppo, è ancora di desolante attualità.

 

A Linosa, l’isola del Sud italiano, non lontana da Lampedusa “ma abbastanza piccola da essere ignorata dai mappamondi”, come dice in un momento di sconforto un personaggio del film, la vita delle famiglie dei pescatori locali si svolgeva senza troppe scosse, anche se il mare era sempre più avaro di pesce e, spesso, traditore.
All’inizio della vicenda raccontata da Emanuele Crialese, infatti, questo mare si era portato via un padre di famiglia, lasciando Giulietta (Donatella Finocchiaro) vedova e il figlio Filippo (Filippo Pucillo), senza futuro.
Se la donna avvertiva la tentazione di andarsene via, alla volta del continente per dare alla propria vita una prospettiva economica più sicura, Filippo, di solo vent’anni, era ancora incerto sul da farsi, e aveva in mente di utilizzare nei mesi estivi la barca di famiglia, la Santuzza, per portare in giro i turisti che cominciavano a scoprire l’isola e lì intendevano villeggiare.

 

La casa, sistemata alla buona, perciò, venne affittata agli studenti in vacanza; la pesca che il nonno Ernesto (Mimmo Cuticchio) intendeva portare avanti nelle ore notturne, sarebbe stata finalizzata a una modesta offerta di pasti familiari, mentre al servizio di spiaggia pensava lo zio Nino (Beppe Fiorello), che dispensava bibite e ombrelloni e cercava anche di fare l’animatore.

 

Il progetto di questo turismo familiare non aveva però fatto i conti con la realtà dei poveretti che fuggendo dall’Africa verso l’Italia, trovavano a Linosa il primo approdo.
I barconi dei migranti, col loro carico di dolore e di speranza, erano soccorsi di notte dai pescatori della Santuzza, secondo le solidali leggi del mare - che Ernesto non intendeva violare - ma si scontravano con la disumanità della legge emanata dal governo italiano nel 2002, la Bossi-Fini che della lotta all’emigrazione aveva fatto una bandiera.

 

Lo svolgimento drammatico del film evidenzia il contrasto fra l’umanità civile e accogliente dei pescatori, che non ammette di lasciare senza soccorso chi è in pericolo di vita e l’ottusità spietata dei funzionari-burocrati, solerti esecutori di ordini che ignorano le ragioni delle persone in carne e ossa e applicano alla lettera le disposizioni che assecondano il diritto del più forte, infierendo contro i più deboli.

 

 

 

 

 

 

Qualche critico e anche qualche spettatore ha voluto accostare Terraferma ai Malavoglia, parlando del film come di una versione moderna del grande romanzo verghiano.

Anche se alcune suggestioni verghiane sono presenti (il vecchio nonno; la morte di un figlio in mare; la voglia di modernità che spinge al cambiamento i giovani dell’isola) del romanzo, tuttavia, manca la dimensione corale del racconto, manca il silenzio ironico dell’autore che dando voce  unicamente ai narranti popolari, esprime il proprio distacco dalla materia raccontata.
Tutto è, invece, fortemente tragico nel film: l’origine del dolore dei più poveri e infelici è detta con la chiarezza, talvolta non priva di enfasi, della denuncia contro la cultura dominante, superficialmente edonistica e individualistica emblematicamente rappresentata dal barcone dei turisti festanti che cantano e ballano, incuranti del carico umano delle barche che approdano all'isola stracariche di uomini, donne e bambini di cui si vorrebbe addirittura ignorare l’esistenza.

 

Dopo un doloroso percorso “di formazione”, anche il giovane Filippo troverà la sua strada, accettando quella legge del mare che non può ammettere eccezioni o deroghe, così come il nonno aveva sempre sostenuto.

Il film, che aveva ottenuto nel 2011 il prestigioso riconoscimento veneziano del Premio Speciale della Giuria per la miglior regia, è importante sia perché finalmente vi si racconta il paese in cui viviamo e i vizi profondi di molti suoi abitanti con la giusta durezza dell’indignazione morale; sia per l’alto valore della fermissima denuncia.


Le immagini non turistiche della piccola isola siciliana, sono dovute alla bellissima fotografia di Fabio Cianchetti che mostra ottima sensibilità cromatica ed evocativa.

Non sempre, purtroppo, convincente l’interpretazione degli attori,

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