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Rapunzel. L'intreccio della torre

Regia di Byron Howard, Nathan Greno vedi scheda film

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La recensione su Rapunzel. L'intreccio della torre

di lamettrie
8 stelle

Un bel cartone. Ha tutto: materiale per far riflettere, i minori e non solo, come anche la spettacolarità, la colonna sonora, i dettagli, gli ingredienti collaterali, la velocità, la complessità…

Sotto il profilo dei contenuti, ce n’è parecchi per pensare, che qui si elencano di seguito.

La cattiveria della madre, che vuole il controllo onnipotente sulla prole, senza lasciare libertà di esprimere aspetti che siano differenti da quelli desiderati dai genitori.

La competizione tra madre e figlia voluta dalla madre, che soffoca la figlia.

La protezione del figlio in un mondo di chiusura artificiale, apparentemente legittimo, ma foriero più di mali che di beni.

La necessità dei figli di esperire il mondo, dopo che siano lasciati progressivamente e cautamente e liberi di farlo, pena mali peggiori.

I genitori non naturali che temono di dire la verità ai figli sulle cose più importanti, ovvero sulla loro origine naturale e sulle conseguenze tragiche che la vita ha avuto per loro.

L’inevitabile tormento dei figli adottivi: sia nell’incertezza sulla verità della loro origine, sia nel dolore nell’apprendimento sulla verità della loro origine.

Il terrore dell’invecchiamento, assurdo nel suo eccesso quanto comprensibile per certi versi.

La simpatia sincera, e anche la bontà e l’innocenza, di certe persone, apparentemente non raccomandabili oppure emarginate socialmente.

L’errore nell’etichettamento negativo aprioristico dei delinquenti, che possono anche rivelare aspetti apprezzabili.

Il rapporto con gli animali, compagni di vita, spesso empatici (anche se qui l’antropomorfizzazione è eccessiva).

Qualche difetto c’è pero. Innanzitutto, l’identificazione, conservatrice e ingannevole, con i potenti, buoni e amati dai loro sudditi, il che storicamente è di gran più falso del contrario. Poi, la classica retorica del sogno, anch’essa tanto ingannevole, continuamente diffusa però a piene mani dalla deleteria, e potentissima quant’altri mai, industria massmediatica del capitalismo.   

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