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La pecora nera

Regia di Ascanio Celestini vedi scheda film

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La recensione su La pecora nera

di Peppe Comune
8 stelle

Nicola (Ascanio Celestino) vive da più di trent’anni in un istituto psichiatrico gestito da suore (Luisa De Santis e Igiaba Scego), da quando era piccolo e rimase da solo dopo la morte della nonna (Barbara Valmorin). La madre morì dopo anni di ricovero allo stesso manicomio, il padre (Nicola Rignanese) era un bruto che si preoccupò solo di metterlo al mondo, i fratelli, invece, (Mauro Marchetti e Alessandro Marventi) due brutti ceffi che vivevano in montagna insieme alle pecore che accudivano e che facevano a gara a chi lo prendesse più in giro. Perché “s’inventa le cose”, dicevano,.e chi s’inventa le cose, si sa, diventa subito una pecora nera.

 

Nicola ha vissuto con la nonna contadina, “una donna che non è mai stata giovane”, in mezzo alle galline che gli procuravano uova fresche tutti i giorni. Le portava a chiunque queste uova fresche, all’insegnante di scuola, ai dirigenti scolastici, alle monache del manicomio, al prete, e a tutti diceva sempre la stessa cosa, che erano “ancora calde le uova, sono appena uscite dal culo della gallina”.

 

Nicola non andava un granchè bene a scuola, non relazionava bene con gli altri, ma lui non se ne preoccupava più di tanto, imparò subito a sentirsi un “diverso”, a lui bastavano la sua fervida immaginazione e gli occhi di Marinella (Wally Galdieri), una sorta di “madonna tascabile” che conservà per sempre nel suo povero cuore.

 

Nicola nacque e visse i primi anni della sua adolescenza nei “meravigliosi anni sessanta”, anni di balere affollate e sbarchi lunari, di dolci canzoni alla radio e distratta spensieratezza, anni ubriachi di speranze e sazi di ottimismo. Nei “meravigliosi anni sessanta” si poteva anche pensare di progettare un futuro, ma se mostravi di avere una certa originalità di pensiero potevano scambiarti anche per un matto e assoggettarti alla pubblica derisione. L’uomo può davvero rivelarsi un essere molto strano, convive quotidianamente con iniquità e ingiustizie sociali di ogni tipo e poi non sopporta la condivisione di uno stesso spazio con chi fa collezioni di fantasie. Arriva addirittura a concepire la creazione di istituti dove metterle tutte insieme queste "strane persone", luoghi che serviranno a rimettere in riga le intemperanze spontanee degli emarginati sociali, a rimettere ordine dove si è generato disordine. Bisogna oltrepassare molti cancelli per entrare dentro questi luoghi e quando si è dentro, se è per rimanervi, si è segnati per sempre. Si curano i matti in questi istituti, facendogli passare la corrente elettrica attraverso il cervello, per ridare luce dove si è generato il buio, perché il buio fa paura e “si può anche morire per la paura del buio”.

 

Nicola ha dovuto imparare presto il peso doloroso della solitudine e presto ha anche dovuto costruirsi un mondo immaginario fatto di cronache marziane e di tante istantanee carpite dalle serrature della vita. Si è fatto anche un amico immaginario, Nicola pure lui si chiama (Giorgio Tirabassi), lo accompagna a fare la spesa al supermercato e lo aiuta a tenere il conto giornaliero delle scoregge fatte dalla suora. È il suo specchio l’amico Nicola, ne riflette le fantasie erotiche sulle “donne che leccano uomini nudi” e tutte le sue innate insicurezze, lui intanto può mischiarsi tra la gente “normale” in un mondo che tende a non capire gli emarginati sociali, giocare senza maschera tra persone mascherate. Con l’amico fidato che gli tiene il gioco, Nicola può anche pensare di poter riconquistare Marinella (Maya Sansa), che ora lavora al supermercato dove accompagna la suora a fare la spesa e che gli ha pure sorriso come la prima volta a scuola. E’ stato invaso da troppo dolore Nicola per non meritarsi la fedeltà di un’amicizia consenziente. Tutta sua.

 

Nicola ha visto morire in manicomio una madre che neanche ha avuto il tempo di conoscere ed è stato abbandonato al suo destino dal padre a dai due fratelli, è cresciuto con la nonna contadina, ha vissuto per oltre trent'anni tra pareti fredde a sistemare rotoli di carta igienica ed ha sulla coscienza la tragica fine del compagno di classe Pancotti Maurizio (Flavio Santini). Ne ha dovuti scavalcare di cancelli Nicola prima di costruirsi un proprio equilibrio interiore, ma l’ultimo non gli riesce proprio di superarlo e “se non salti l’ultimo e come se non ne salti nessuno”.

 

Nicola ha imparato che chi mette in ordine “poi trova sempre tutto” e che, per i "buoni borghesi", il disordine del cervello si cura meglio con cancelli chiusi sul mondo e senza citofoni all’ingresso. Per questo esistono i manicomi, per delimitare il confine tra la sedicente normalità della società civile e la follia muta di animi dissenzienti. Per questo servono i matti, per far sentire dei “premi nobel” i deficienti che si credono superiori.

 

Nicola pensa che il manicomio sia un “condominio di santi” perché i suoi ospiti possono contenere tutte le tristezze del mondo, loro, “che non possono andare sui prati e che non vedranno mai il sole”.

 

 

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