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La pecora nera

Regia di Ascanio Celestini vedi scheda film

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La recensione su La pecora nera

di pazuzu
8 stelle

Mi ricordo la barzalletta dei due matti che scappano dal maniconio, il manicomio protetto da cento cancelli. Saltano il primo, il secondo, il terzo, corrono, corrono... Al novantanovesimo dicono: «Basta, siamo stanchi, torniamo indietro, sarà per la prossima volta».

Così inizia La Pecora Nera, film che ha fatto parlare di sé prima ancora della presentazione ufficiale alla 67° Mostra del Cinema di Venezia per aver soffiato il posto in concorso all'ultima fatica di Pupi Avati, che non l'ha presa benissimo. Nato come libro e già sviluppato come testo teatrale, è la prima opera cinematografica di finzione diretta dall'attore teatrale e scrittore Ascanio Celestini dopo due documentari su lavoro e precariato (Senza Paura e Parole Sante).
Nicola, il protagonista e narratore, è nato da una famiglia di contadini nei "favolosi anni '60", quelli in cui bastava poco per etichettare come pazzi soggetti problematici o semplicemente eccentrici, quelli in cui questi pazzi venivano rinchiusi e imbottiti di psicofarmaci, quelli in cui era di fatto interdetto loro il reinserimento nella società, quelli in cui l'istituto di cura si premurava di fornire energia elettrica direttamente al cervello per dargli la scintilla adatta a farlo funzionare: la madre passa in uno di questi centri i pochi anni che le restano (morirà mentre lui è in età scolare), il padre lo picchia e lo squalifica, i fratelli lo deridono perché "vede le cose" e crede ai marziani, e a scuola è fatto oggetto di scherno da tutti i compagni eccetto Marinella, "una specie di madonna tascabile", una coetanea che lui idealizza e verso la quale indirizza i suoi progetti irrealizzabili, mentre a dargli quel poco di sicurezza di cui avrebbe bisogno non soccorre neanche l'aiuto della nonna, donna anziana dai modi antichi che si fa ridere dietro per la sua ossessione per le uova delle galline del suo pollaio. Nicola viene parcheggiato sin da piccolo nello stesso ospedale psichiatrico in cui vegeta la madre, e lì sta ancora nel 2005, ormai adulto e strutturato. Quel posto angusto e freddo è ai suoi occhi "un condominio di santi", e intorno ad esso ha costruito il proprio piccolo e poetico universo privato. La sua fantasia gli ha donato un amico immaginario, un altro Nicola più sciroccato di lui, col quale si confida, e col quale fantastica di "riviste di donne che leccano gli uomini nudi": insieme scherzano gli altri ospiti dell'istituto e contano le puzze che la suora si perde ad ogni passo.
Ma Nicola è veramente pazzo o è solo un ragazzo sensibile e stralunato trascurato da una famiglia di egoisti e da una società che da sempre nasconde e ghettizza il diverso? E cosa vuol dire diverso? Cos'è la normalità?
La Pecora Nera non è un film perfetto, patisce in qualche modo l'origine teatrale del testo (in principio un monologo) e la presenza costante, talvolta non necessaria, della voce fuori campo dello stesso Celestini (Nicola adulto) che qua e là tende a sovrastare tutto il resto; ma è comunque un film sincero e sentito, che cresce dentro, che si mostra nudo e senza filtri. Quello di Nicola è un mondo chiuso, che ripropone in scala quello reale: egli cerca nel primo l'affetto e le rassicurazioni che nel secondo non riesce a trovare. Quindi si arrocca nel rapporto esclusivo con l'amico immaginario così come la sua famiglia si è chiusa a lui rinunciando a capirlo; e si accontenta di continuare a coltivare il sogno della sua vita: sempre Marinella, l'ex compagna di scuola, che ritrova tale e quale, anzi "uguale a prima ma con le tette più grosse", al supermercato dove settimanalmente la suora lo porta a far spesa.
Ma perché limitarsi al sogno? È ancora possibile per Nicola crescere cercando di accantonare i propri fantasmi e la paura del confronto con il prossimo (vero leitmotiv della sua esistenza)? È possibile per lui poter aspirare ad essere accettato? È ipotizzabile sognare di poter saltare anche quel centesimo ed ultimo cancello? Perché "i cancelli servono a proteggere l'istituto, l'istituto serve a proteggere i matti, ma i matti a che servono?"
Ascanio Celestini ama il suo personaggio, lo sente e lo fa proprio, restituendo al pubblico il suo trasporto attraverso una regia scarna e trattenuta ma efficace, e una recitazione spontanea ma misurata. E il ricorso a tormentoni, nenie, frasi ricorrenti e suoni onomatopeici rende appieno il carattere ludico ed infantile del suo universo, colorato di realismo dalla fotografia contrastata di Daniele Ciprì. E un applauso lo merita anche il resto del cast, dall'esordiente Luigi Fedele, bravo nel ruolo di Nicola bambino, a Giorgio Tirabassi, che con quella faccia da piccola peste troppo cresciuta pare nato per la parte dell'alter ego, da Maya Sansa, ossia Marinella adulta, convincente nel restituirne l'impaccio e la sotterranea diffidenza, a Luisa De Santis, la suora petomane che lo accompagna a far spesa, fino al giovane Flavio Santini, che nel ruolo del grasso e supponente Pancotti Maurizio (personaggio ricorrente nei monologhi teatrali del regista) è protagonista nel finale di una delle scene più drammatiche e riuscite.
Quasi interamente girato nell'ospedale (ex manicomio) Santa Maria della Pietà, nella periferia di Roma, ed avvolto in un'atmosfera apparentemente sospesa e leggera, La Pecora Nera è un film personale e doloroso, franco e necessario, che racconta la storia di un "matto" rispettandolo ed assumendone il punto di vista, inducendo a sorridere amaro sulla disumanità dei sedicenti "normali" e ponendo interrogativi inquietanti le cui risposte vanno ricercate nel grigio qualunquismo di una società incivile e senza cuore.

Come è possibile, mi domando a volte, camminare sui prati verdi e avere l'animo triste?
Essere immersi nel caldo del sole, mentre tutto all'intorno sorride, e avere l'angoscia nel cuore?
Lasciate a noi le vostre tristezze!
A noi, che non possiamo andare sui prati e non vediamo mai il sole.

(Alberto Paolini)

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