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La geisha dalle mani d'acciaio

Regia di Min-hsiung Wu vedi scheda film

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Neve Che Vola

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La geisha dalle mani d'acciaio

di Neve Che Vola
10 stelle

"Ma alfine" feci osservare "tendo l'arco e tiro la freccia per colpire il bersaglio. Tendere è dunque un mezzo per uno scopo. Una relazione che non posso perdere di vista. Il bambino non la conosce ancora, ma io non posso più ignorarla".
"(...) quanto più lei si ostinerà a voler imparare a far partire la freccia per colpire sicuramente il bersaglio, tanto meno le riuscirà l'una cosa, tanto più si allontanerà l'altra. Le è d'ostacolo una volontà troppo volitiva. Lei pensa che ciò che non fa non avvenga".
 
(Eugene Herrigel, Lo zen e il tiro con l'arco [Il grassetto è mio])
 
"Devo dunque spogliarmi intenzionalmente di ogni intenzione", mi scappò detto.
 
(Eugene Herrigel, Lo zen e il tiro con l'arco)
 
(...) E presto ti accorgerai dell'esistenza di due pause. In queste due pause si trova la porta. E in quelle due pause perverrai alla comprensione, vedrai che il respiro in se stesso non è vita (...). Perchè quando il respiro si arresta, tu sei presente, assolutamente presente: sei perfettamente consapevole, assolutamente cosciente. E anche se il respiro si è arrestato, se il respiro non c'è più, tu ci sei ancora.
 
(B.S. Rajneesh, a proposito delle pause presenti tra inspirazione ed espirazione)
 
Diventare consapevoli delle proprie intenzioni...
 
Attaccamento, avversione, confusione: i tre modi tipici coi quali ci rapportiamo col pensiero.
 
 
Nel suo libro Storia proibita di una geisha (titolo italiano che mira ad attirare i curiosi del "proibito", l'originale è un semplice Geisha, a Life), Mineko Iwasaki (la vera geisha cui si ispirò Arthur Golden per il romanzo dal quale è stato tratto il bel film di Rob Marshall) spiega il significato di alcuni termini:
 
(...) non ci riferivamo a noi stesse come geishe (geisha significa "artista") ma usavamo il termine più specifico geiko, "donna d'arte". Un tipo di geiko, famosa in tutto il mondo come simbolo di Kyoto, è la giovane danzatrice conosciuta come maiko o "donna di danza".
 
La parola geisha dunque significa "artista"; mi prendo una licenza, e la chiamo "opera d'arte vivente".
 
Il titolo italiano di The Escape (Ren nell'originale taiwanese, cioè "pazienza", "tolleranza") in realtà non c'entra niente con l'attività della protagonista, Hsiao Yu (Chia Ling), che è una attrice di teatro cinese con strabilianti doti di artista marziale, ma mi viene in aiuto per parlare di donne ispiratrici.
La natura coreografica delle lotte, la danza, sono una parte degli elementi decisivi: ogni lottatrice di kung fu (a mani nude o con la spada) mi appare come un'opera d'arte in movimento (dovrei forse chiamarla kung fu geisha unendo Cina e Giappone?), praticamente asessuata, che si origina probabilmente da elementi di carattere sessuale.
Probabilmente, la mia passione per le opere d'arte in movimento ha origine sessuale, ma il prodotto finale rigetta l'atto sessuale: la kung fu geisha è tale a patto che si mantenga in movimento, che lotti; cesserebbe di essere quell'opera d'arte nel momento in cui si abbandonasse - troppo umanamente - alla natura "inferiore". Qualsiasi animale è capace di un atto sessuale, quello che distingue l'uomo è la natura "superiore" che si esprime diversamente.
E' evidente che la kung fu geisha non sia un eccitante "preliminare" di un atto sessuale, non è l'overture o il preludio; al contrario, rappresenta l'opera.
Una figura anche paradossale, volendo, che non può permettersi la sessualità dalla quale trae in certo modo origine. Una figura costretta dalle sue stesse premesse all'asessualità, ad incarnare - ai miei occhi - la trascendenza, qualsiasi cosa la parola significhi - più che "significare", forse può "indicare". Forse è soltanto una mia forzatura. Sta di fatto, che così si esprime. Questa figura "fantastica" è ciò che mi fornisce godimento ed ispirazione, di fatto la kung fu geisha è, nel mio immaginario, una donna ispiratrice.
Proprio come le geishe, coi loro movimenti creano un mondo fatto di pura bellezza.
A livello fisico, si può provare attrazione, ispiratrice o no è pur sempre una donna; ma l'amore comincia solo con una specie di "devozione", la donna deve saper ispirare nell'uomo lo slancio alla trascendenza, senza commettere l'errore di negare il sesso. Tale negazione, inutile dirlo, sarebbe una repressione, un rifiuto dell'accettazione di sè stessi, portatrice di nevrosi e depressione, più che di trascendenza, e di un legame con la sessualità ancora più stretto.
Solo una tal donna ispiratrice, secondo me, può essere chiamata "l'anima gemella", per usare un luogo comune, dell'uomo che ispira.
 
La protagonista della storia di "fuga" narrata nel presente film, è una donna che viene arruolata - contando sulle sue strabilianti doti di combattente - per vigilare su un generale che vuole impedire che un losco governatore riesca a farsi incoronare imperatore della Cina, levando la democrazia al popolo.
Per riuscire, il generale deve lasciare Pechino, luogo in cui è tenuto - più o meno apertamente - prigioniero, e mettersi a capo delle truppe che lo aspettano per guidarne la marcia contro l'aspirante tiranno (l'idea di attaccarlo personalmente da solo, che spesso lo sfiora, è praticamente inattuabile a causa della stretta sorveglianza).
Ben presto Hsiao Yu (più o meno capisco Sciao Ya), interpretata da Chia Ling al suo debutto, si rende conto dell'inganno, colpita dal comportamento onesto del generale Tsai, e si converte alla causa di quest'ultimo, mettendo al suo servizio le doti di lottatrice.
Vale la pena notare che Chia Ling (aka Judy Lee), secondo quanto ho letto su internet, nella vita reale "è stata allenata fin dall'infanzia nell'altamente acrobatica Opera Cinese, quindi questo ruolo sembra stato tagliato su misura per lei".
 
In un bel momento della storia, quando ancora parteggia per i "cattivi", Hsiao Yu incontra il generale Tsai in un luogo incantato, sotto un pavillion sul bordo di un minuscolo stagno, alla sera, e questi le chiede di raccontarle la storia che recita a teatro.
 
- Quella è una storia molto triste. Lo sai che me la sono scritta da sola?
- Sei brava!
- Sono perfida! E' la storia di una donna che tradisce la fiducia che il suo uomo aveva in lei. Nel finale, però, pur di salvarlo, si sacrifica e muore per lui. Anche nella vita a volte capita di fare cose che non vorremmo mai fare.
- A me non sembra che tu faccia solo l'attrice.
- Che dici?
- Forse qualcuno ha voluto affidarti un certo incarico e ti senti a disagio. In questo caso, non sei una buona attrice.
- Anche tu sei a disagio.
- Sì, è vero, ma ho ragione di esserlo.
 
Nell'originale, l'ultima parte suona più o meno così (tradotto dai sottotitolo inglesi che si sperano fedeli all'originale, visto che sono presenti anche, allo stesso tempo, incisi sulla pellicola, quelli cinesi):
 
- Non sembri uguale alle altre attrici.
- E come sembro?
- Come un tipo di persona capace di condividere la vita e la morte.
- [timidamente] Le sue lodi sono esagerate.
- Forse a causa della mia ammirazione per te.
 
Il dialogo riportato per primo è una invenzione del doppiaggio italiano, che si ispira con felice trovata agli effettivi sviluppi futuri del film. L'originale non sembra preludere a niente, narra semplicemente dell'amore che Hsiao Yu nutre verso una particolare canzone dell'opera teatrale in cui recita. Se ci siano delle allusioni agli sviluppi della storia, non le ho capite.
 
In un certo senso, questo film mi è caro perchè è una storia di sacrificio, da parte di una donna, di unificazione con la propria identità più profonda. Nonostante la fierezza che mostra nella lotta, che sfocia nel canzonamento degli avversari che batte con facilità, quando il generale le propone di passare dalla sua parte, mettendola al corrente dei loschi traffici, affiora il sentimento di tristezza nascosto dietro la baldanza (Volete sfidarmi? Avanti, muovetevi, buffoni!):
 
- Sono solo un'attrice, nessuno mi ha mai rispettato. Mi tratti come fossi una persona importante, sulle mie spalle non ho mai portato il peso di una faccenda così delicata.
 
Vedo in lei - psicologia tagliata con l'accetta ad uso e consumo dei sempliciotti? Non mi importa - il coraggio di aver accettato la propria marginalità, e ravviso nella richiesta del generale una sincera e ben riposta ammirazione nel grado di maestria che la ragazza dimostra proprio nell'accettazione del suo destino di umile attrice.
 
Una fiaba per bambini ma con elementi di violenza che rivelano l'effettiva età dei bambini cui è diretta, e forse di quelli da cui è prodotta.
I sentimenti d'amore nati tra i due sono appena rivelati dal canonico avvicinarsi dei visi interrotto da qualcosa, incombe l'ineluttabilità del destino.
La sera prima della fuga del militare, Hsiao Yu si allena nervosamente nel cortile dell'abitazione degli attori, attirando l'attenzione del suo maestro, cui confida la decisione presa di rischiare la vita. Ma un attore della compagnia li sente, e va a riferire del tradimento dell'attrice, speranzoso in una ricompensa, al comando nemico. Hsiao Yu se ne accorge, e aspetta l'uomo sulla via del ritorno, scortato da tre militari. Esplode la violenza, elimina prima la scorta, ed infine il traditore, in una buona scena di lotta piuttosto cruenta nelle strade deserte avvolte dal buio della sera.
Che Chia Ling abbia avuto un passato da attrice e ballerina è abbastanza evidente dalla bella esecuzione della "danza" mortale, non priva di momenti di crudeltà forse un pò compiaciuta ma ben sopportata dal carisma dell'attrice (Voglio la vita del traditore!).
 
Il generale, la ragazza e il maestro escogitano un piano, per raggiungere un cascinale, piano in cui il maestro si ritaglia il ruolo di trattenere la polizia per dare tempo ai due di allontanarsi; perde la vita, dopo che uno sgherro del governatore gli ha sparato a bruciapelo, recitando le ultime parole da vero attore, molto sopra le righe, scadendo quasi nella comicità involontaria (figuriamoci!):
 
- Generale Tsai, il mio ruolo è finito: cala il sipario!
 
e si accascia al suolo.
 
Al cascinale, il generale Tsai prega Hsiao Ya di seguirlo nella fuga, ma la ragazza sceglie di rimanere a trattenere - da sola! - il nemico numeroso, per consentirgli di portare la fuga a compimento. Hsiao Ya promette:
 
- Se sarò ancora viva, verrò io da te. Se non mi vedrai, sarà tutto finito.
 
Mano nella mano, canonica interruzione, arriva uno dei loro alleati che li avverte, prima di morire, che le truppe stanno arrivando.
Il generale parte, canonico accompagnamento musicale corale in tono di leggenda.

Hsiao Yu sa benissimo che quasi certamente non rivedrà mai più l'uomo di cui si è innamorato.

Non voglio dire che il film sia particolarmente ben girato (figuriamoci se non lo voglio dire), è sicuramente esagerato e fantastico come tutti i film di arti marziali, ma appunto perchè Hsiao Yu non ha prestanza fisica nel senso del culturismo, salta fuori la forza dell'interiorità: o è pura follia, oppure elicitazione di una attività interiore più intensa, in fase di risveglio. Interiorità all'acqua di rose, forse, ma la dimensione è quella, una interiorità grezza, che forse aspira solo ad esserlo senza diventarlo. Mi basta che la indichi di sfuggita.
Penso che in molti riderebbero a vederne il finale, esagerato, estremamente violento (per l'epoca), - Hsiao Yu tiene testa da sola a non meno di una ventina di nemici - con punte di un certo sadismo, come quando colpisce un avversario tre volte coi pugni e poi lo finisce con un colpo di pistola in fronte sparato da mezzo metro. Non solo, fa credere che il generale si trovi ancora nascosto fra le rovine dove si erano incontrati per l'ultima volta, è assai inverosimile che nessuno abbia potuto gettargli un'occhiata mentre lei respingeva l'attacco di venti uomini insieme (inverosimile un corno!).
Hsiao Yu mi ispira un senso di disperazione che mi fa sentire meglio, in certo qual modo mi riconnette a qualcosa di dimenticato - la faccenda è tutta qui. Come solitamente risuona ridicolo alle mie orecchie il solito lamento per "l'assassinio del maestro che grida vendetta" - tema ricorrente nel mondo delle arti marziali -, qui invece lo trovo estremamente efficace e ben messo in scena: quando l'eroina viene a sapere dallo sgherro del governatore che il suo maestro è stato fucilato (in realtà è stato proprio lui ad ucciderlo a sangue freddo) - informazione che ottiene dopo averlo malmenato un pò, tanto per non smentire il titolo italiano che la vuole con le mani d'acciaio - non riesce a trattenere il dolore ed infierisce sul nemico ormai a terra, colpendolo ripetutamente con dei bastoni corti (non so come si chiamino) fino ad ucciderlo.
E' una scena, nuovamente, piuttosto sadica, ma il carattere sadico è mitigato - come nel resto del film - dalla cornice fondamentalmente tragica, disperata, nella quale Hsiao Yu si muove - il vento che spira, il tono di base -, singhiozza mentre colpisce, e la musica di sottofondo, che è sorta dal silenzio dei rumori della campagna appena l'eroina viene a sapere della fine del maestro, è rassegnata. Quando la geisha si rialza, c'è il suo destino ad attenderla: il generale Lei Chen Chun appena sopraggiunto alla testa di molti uomini armati, le impone di inginocchiarsi come traditrice, ma lei ricorda le parole del maestro
 
- Recita bene, oggi, dai una buona impressione al pubblico.
- Maestro, ho fatto del mio meglio.

si rifiuta di obbedire e grida, di rimando
 
- Lei Chen Chun, sarai tu ad inginocchiarti!
 
Si getta correndo e piangendo contro i soldati ormai schierati come un plotone di esecuzione, perfetta incarnazione della Grazia della Furia.
Il suo destino è segnato, ma il film ci risparmia di vederla morire realisticamente, e ne rende eroica la fine fermando l'immagine su un volo del tutto fantastico di Hsiao Yu, mentre si odono gli spari.
 
Una scritta si premura di farci sapere che
 
Il giorno 11 Novembre 1915, Hsiao Yu sacrificò la sua vita per il suo paese

permettendo al generale Tsai di fuggire e di portare a termine il piano di difesa.
Tutto molto esagerato, fin troppo detto, quasi da romanzo sentimentale d'appendice e disperato, ma... c'è la campagna.
 
Nella versione italiana (forse a causa dello stato della pellicola) non riesco ad udire il vento che soffia tra l'erba alta, ma nell'originale il tutto mi trasmette l'impressione di qualcosa di realistico eppure fantastico, come è capace di esserlo un rumore udito in campagna piuttosto che in città, senza musica; si ode, misto al suono silenzioso della natura, il sibilo dei due corti bastoni che Hsiao Yu agita minacciosamente.
Certi film di kung fu sono il mio viaggio nei giardini dell'anima che prima giacevano desolati. Desolati per un motivo soprattutto: ritorno continuamente a credere che le cose che non faccio non accadano. E' da molti anni, ormai, che soffro di "attaccamento". L'attaccamento è uno dei mali peggiori, non c'è dubbio. Ci si "attacca" fino a che "si diventa" il proprio attaccamento.
Questi film - alcuni di essi - sono la mia pausa tra l'inspirazione e l'espirazione. Spogliarsi di ogni intenzione, facile a dirsi! Tentare di spogliarmene intenzionalmente, come nota Herrigel - con l'aiuto di un film di kung fu, poi! - è paradossale. Eppure, forse accade in conseguenza di questo sforzo: ci sarà o no un momento, dopo tutta questa fatica di spogliarsi intenzionalmente e paradossalmente di ogni intenzione, che - sia pure per disperazione - si formerà un momento di standby?
Nessun gesto ha "verità" se non è nato libero dall'intenzione/attaccamento, lo so ormai da tempo. Concentrarsi sui gesti non è così importante come sugli impulsi dai quali traggono origine.
Qualsiasi gesto è vuoto, all'ombra dell'intenzione/attaccamento. Qualsiasi gesto ha un significato, alla luce della mancanza di intenzione. Guardare il bersaglio è sbagliato, perchè ci si "attacca" al bersaglio, e si evita "quello che accade". L'identificazione col bersaglio, è il male.
Zappo un orto: il bersaglio è la fioritura delle verdure. In mezzo, ci sta il lavoro, artigianale: ed è inutile strepitare, non si fanno crescere gli ortaggi più in fretta tirandoli verso l'alto con le mani. Di fatto, c'è solo artigianato, al resto non pensa l'ortolano; se ne incaricano il sole, la pioggia.
Una identificazione, forse, è salutare: con l'artigiano che zappa l'orto come se non dovessero mai esserci frutti, e si arriva ad amare il fatto stesso di zappare.
Zappare senza altro fine che zappare, è la via. Prima mi sbagliavo: non la fioritura dell'orto, ma zappare per zappare, è il fine. La fioritura dell'orto ne consegue, ecco tutto.

Mi azzardo a dire che secondo me esistono molti film che vengono accantonati e dimenticati a causa dell'incapacità di udire il presente abbandonando i viaggi della mente nel passato e nel futuro (viaggi causati soprattutto dalla lettura di una storia in una semplice cronologia di avvenimenti e dalla formazione di riferimenti che ne consegue).
Un film può essere apprezzato anche in mezzo a deficienze di sceneggiatura e regia, se solo fossimo capaci di dimenticarci di pensare. Nè sarebbe importante, la sceneggiatura; nè la recitazione; Il film stesso deve diventare il mezzo per ottenere tale scopo, per quel che mi riguarda è l'unico vero motivo di interesse.
Il vento soffia tra l'erba, mentre Hsiao Yu combatte.
 
L'imperativo (senza intenzione?): avvertire con più intensità il profumo dell'erba, una specie di Dio sive natura capace, in modo misterioso, di mettere in moto centri psichici o cerebrali che altrimenti resterebbero sopiti.
Hsiao Yu combatte lì in mezzo, è quello che conta.
 
Ricordo vividamente alcuni momenti passati quando frequentavo l'asilo, c'era un piccolo parco, una piccola zona di campagna, dove passavamo molto tempo. C'era il silenzio, in mezzo alla voce dei miei compagnetti. Ci sono momenti in cui - particolarmente in campagna - è possibile avvertire con una intensità particolare il profumo dell'erba e della terra, una specie di profumo che è lo stesso cui sono abituato, ma non è lo stesso. Capace di riunire alla Madre, diciamo così, e che non dipende solo dall'odore, ma dal tipo di percezione dovuta allo stato mentale.
 
La scena finale di lotta di Hsiao Yu, ambientata lì, per qualche strana concomitanza di eventi e richiami, ricrea in me quel particolare stato della mente, la coscienza si allarga e le tensioni si trasformano in concentrazione priva di fatica.
 
Solo l'energia, e la sua qualità, contano. La ricomposizione energetica originaria, è il fine. I pensieri sono una conseguenza.
L'errore: credere al pensiero distaccato dalla componente energetica, dimentico di quest'ultima.
L'errore: credere al pensiero in quanto tale.
La dimensione energetica: la dimensione autentica.
La dimensione energetica: disidentificazione dagli stati mentali.
Disidentificazione: fine dell'attaccamento.
Disidentificazione: le emozioni riprendono la loro forza originaria.
 
I giardini dell'anima, questa volta, sono sorti, come per magia, dalle mani incantate di una geisha.
 
 
 
Sull'interpretazione di Chia Ling
 
Sconfino nell'adorazione estatica. Ho recentemente scoperto che, per questo ruolo, Chia Ling ha ricevuto il Golden Horse Award di Taiwan come Miglior Attrice, premio certo più importante degli Oscar o del Leone d'Oro

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