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Attenti a quei p2

Regia di Pier Francesco Pingitore vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Attenti a quei p2

di hallorann
1 stelle

Il “venerabile gran maestro” della Loggia P2 Licio Gelli, recentemente scomparso, al cinema non è stato fortunato nell’essere rappresentato. Al contrario della visibilità e dell’alone di gran burattinaio dei misteri italiani avuta in quarant’anni di carriera massona deviata, sul grande schermo c’è finito, a mia memoria, due volte: il mediocre I BANCHIERI DI DIO di Giuseppe Ferrara (interpretato da Camillo Milli, unico vezzo l’accento toscano). Molto peggio fece nel fatidico ’82 Pierfrancesco Pingitore con ATTENTI A QUEI P2. Farsaccia messa in piedi sull’onda dello scandalo scoppiato in quei mesi: la scoperta di una lista di 900 nomi affiliati alla cosiddetta Loggia massonica Propaganda 2 (politici, giornalisti, generali, faccendieri, imprenditori…). I giudici Colombo e Turone scoperchiarono uno Stato parallelo manovrato o coperto (a seconda delle correnti giornalistiche) da un ex materassaio (definizione perfida di Montanelli), ammanicato con dittatori sudamericani e poteri forti americani e italiani. La scalata riuscita al “Corriere della Sera” con le tessere di Costanzo, Gervaso e Di Bella direttore. Oggi i giornali tendono a smontare il personaggio, il quale comunque qualche soddisfazione l’ha avuta in vita, visto che il suo Piano di Rinascita (molto poco) Democratica è stato, per buona parte, attuato. E lui gongolava. Libero.

Scrive Massimo Gramellini: “Era un trapezista del nulla, capace di saltare con una capriola dal fascismo all' antifascismo e di infilarsi in tutti i posti dove ci fosse odore di chiuso e non per aprire le finestre, ma per abbassare le serrande. Non esiste mistero italiano da cui non spunti la sua faccia di italiano qualunque, più furbo che intelligente. E questo la dice lunga sulla qualità mediocre che da noi hanno persino i misteri. Mi sono sempre chiesto come mai il Gotha della politica, dell'amministrazione, del giornalismo e dell'imprenditoria si sia servito o messo al servizio di questo misirizzi di provincia, privo di carisma e capace di mettere insieme un cardinale con un generale, ma non tre frasi di senso compiuto. L' unica risposta possibile è che la nostra classe dirigente di intrallazzoni raccomandati senza spessore vale anche meno di Gelli. Allora come oggi, chi ha talento e passione non ha tempo per tramare e millantare, cioè per acquisire potere. È troppo impegnato a lavorare.”

 

 

Il “venerabile gran maestro” della Loggia P2 Licio Gelli, recentemente scomparso, al cinema non è stato fortunato nell’essere rappresentato. Al contrario della visibilità e dell’alone di gran burattinaio dei misteri italiani avuta in quarant’anni di carriera massona deviata, sul grande schermo c’è finito, a mia memoria, due volte: il mediocre I BANCHIERI DI DIO di Giuseppe Ferrara (interpretato da Camillo Milli, unico vezzo l’accento toscano). Molto peggio fece nel fatidico ’82 Pierfrancesco Pingitore con ATTENTI A QUEI P2. Farsaccia messa in piedi sull’onda dello scandalo scoppiato in quei mesi: la scoperta di una lista di 900 nomi affiliati alla cosiddetta Loggia massonica Propaganda 2 (politici, giornalisti, generali, faccendieri, imprenditori…). I giudici Colombo e Turone scoperchiarono uno Stato parallelo manovrato o coperto (a seconda delle correnti giornalistiche) da un ex materassaio (definizione perfida di Montanelli), ammanicato con dittatori sudamericani e poteri forti americani e italiani. La scalata riuscita al “Corriere della Sera” con le tessere di Costanzo, Gervaso e Di Bella direttore. Oggi i giornali tendono a smontare il personaggio, il quale comunque qualche soddisfazione l’ha avuta in vita, visto che il suo Piano di Rinascita (molto poco) Democratica è stato, per buona parte, attuato. E lui gongolava. Libero.

 

 

Tornando alla banda del Bagaglino e al discusso guru del Salone Margherita, il suo pseudo cinema non si è mai sollevato da un livello davvero basso e imbarazzante. Nemmeno questa presunta satira con protagonista tale Licio Belli ne è esente: egli opera dal quartier generale dell’Hilton di Roma (l’originale da un albergo di via Veneto, l’altra sede era Villa Vanda ad Arezzo). Ivi accoglie politici come l’onorevole Forlotti (sic!), il banchiere Calmi (sic 2!), lo sceicco Kasheri, un agente deficiente, aspiranti piduisti e la gnocca di turno Madame De Groschild impersonata da Annamaria Rizzoli. Il portiere d’albergo Bombolo (volgarissimo come sempre) fa da osservatore e testimone, mentre uno svogliatissimo Oreste Lionello (bella voce ed eccellente doppiatore, e basta) maneggia, briga, parla al telefono con Ronald Reagan e il Papa, insomma si inventa Gelli senza alcuna fantasia. Basta solo la scenografia per mollare il film dopo pochi minuti. Inoltre: Pippo Franco improbabile, Giorgio Porcaro e il suo insopportabile slang e via scendendo nei gradini della comicità di bassa lega. La tristezza ben presto si impadronisce dello spettatore sadico (io o chiunque si avvicini a un intruglio simile). Non si ride, ecco la spiegazione. Forse perché non c’era niente da ridere e da satireggiare, o almeno non in questa maniera. Chi sta dietro le quinte, chi complotta non è per niente affascinante o carismatico, vedi Bisignani l’erede (per i giornali) dell’uomo della Permaflex.

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