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Il compleanno

Regia di Marco Filiberti vedi scheda film

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La recensione su Il compleanno

di kubritch
4 stelle

In giro, dicono – vox(a) populi - che dobbiamo pensare un gran bene di questo film. Da parte mia trovo più interessante analizzare le ragioni sottese ad un tale apprezzamento che il film in se stesso in quanto penso che sia utile a comprendere meglio lo stato mentale dell'italiano medio per meglio evitarlo. Prevenire è meglio che combattere. Sono consapevole che la degenerazione del gusto medio pubblico non sia una prerogativa del popolo nostrano ma gli italici ci aggiungono del loro, in termini di provincialismo, di intellettualismo borghese venato di campanilismo 'nazional-calcistico', di cosmesi fotografica e di imitazione di stilemi altrui. Che la gente italica sia proprio quel quadro della pietà ritratto dal film non ci piove ma la cosa drammatica è costatare che di quella italianità è succube anche la mente che ha concepito il taglio e la prospettiva di una simile rappresentazione. Pietistico mi sembra un attributo più appropriato che melodrammatico per definirla poiché non sfugge ad una pedagogia invasiva di matrice cattolica che l'homo italicus ormai ha nel sangue, anche quando pretende di vestirsi di laico anticonformismo. Perciò, non mi meraviglia che gli attori arranchino, sulla scena, insicuri di quello che stanno facendo. Inquadrare la diversità, ovvero, la libertà sessuale ancora nei limiti di una cultura 'cilicica' del peccato è anacronistico. Ormai fa solo ridere, si presta alla parodia – notare le facce dolenti sul finale. La messinscena vorrebbe essere raffinata e colta ma è solo ruffianamente imbellettata e pubblicitaria – vedi le immagini nel teatro o la innocua scena della masturbazione, montata ad arte allo scopo di prendere per i genitali lo spettatore alla stregua di uno spot di intimo o di profumi – d'altronde l'attore/oggetto del desiderio è preso direttamente dalle passerelle anziché dalla strada, com'era d'uso nel bel tempo che fu del cinema italiano (la scelta della canzone vintage come sottofondo è semplicistica; solo una concessione modaiola ). Non ci vengono risparmiati neanche effettacci fotografici come le lune giganti e i tramonti fluorescenti. L'intenzione sarebbe quella di dare un'impressione di naturalezza ma non ci riesce mai; né le interpretazioni aiutano, colpa principalmente di una scrittura e di una regia, che, secondo me, imbragano troppo i personaggi in tipi standard: la mogliettina devota e remissiva fino alla stupidità; il padre incolto e machista; l'amica del cuore/moglie/madre in carriera, cornificata ed insoddisfatta; l'intellettuale omosessuale ipersensibile ed incompreso. Cose che sarebbero più adatte ad una commedia. La scena di sesso tra moglie e marito (rigorosamente sotto le lenzuola!), accompagnata dai sonori colpi del bacino di lui tra le cosce di lei mi è sembrata una rappresentazione alquanto pacchiana. Alla fine dell'amplesso lui lancia un'espressione ambiguamente soddisfatta da provolone stagionato, tipica del bambinone italiano abituato a scartarsi dalla presa inquisitoria della moglie-madre ma mai libero dai sensi di colpa. Il che potrebbe avere una sua pertinenza anche se avrei preferito veder comparire il guizzo del demone nel riflesso dello specchio, come l'ho visto nello sguardo di Nicole Kidman in 'Eyes wide shut', tanto per fare un esempio. 'Oh caro, se è per questo mi puoi svegliare quando vuoi': commenta la santa mogliettina votata al martirio. Tra parentesi, non me ne può fregare di meno che gli attori si chiamano Gassman o De Medeiros. Che dire di Piera Degli Esposti, sprecata in una serie di siparietti umoristici del tutto irrilevanti? Il film comincia alla Visconti e finisce alla Kubrick. Il bel David è un ibrido di Tadzio e di Lolita; dell'uno ha preso i boccoli; dell'altra la civetteria. Nella terra di 'Teorema' di Pasolini mi sembra un bel regresso culturale. Il finale è il più classico dei topoi delle telenovele. Il film non trasmette alcuna emozione ed alcun senso dell'erotismo, solo pruderie. Peccato, sarebbe stata una perfetta commedia sexy all'italiana, di quelle leggermente soffuse di melodramma, con Thiago, oggi sull'isola dei fumosi, come versione maschile di Laura Antonelli. Non c'è alcun rapporto di necessità che lega la morte più all'omoerotismo che ad altri tipi di pulsioni sessuali – le ben note forze oscure citate anche nei dialoghi. Nel caso specifico funzionerebbe come un influsso iettatorio poiché risparmia i diretti interessati. In realtà, la relazione tra 'Eros e tanatos' vale in ogni spazio, in ogni luogo, in ogni tempo, in ogni contesto culturale indipendentemente dall'orientamento sessuale. Quindi di cosa si parla nel film che implichi la necessità di rappresentare il desiderio omosessuale, più che l'essere omosessuale in sé, visto che non basta un'esperienza sessuale per connotare una psicologia? Se si parla della forza scardinante dell'Eros sui rapporti e le convenzioni sociali allora bastava anche un flirt eterosessuale come in 'L'ultimo bacio'. Ragioniamoci sopra. Se lo psicologo si fosse invaghito di una bella fanciulla avrebbe avuto ancora senso quella tragica conclusione o sarebbe apparsa in tutta la sua plateale artificiosità? L'amico tradisce allegramente la sua donna senza ripercussioni tanto drammatiche sul suo vissuto. Il punto è: sarebbe risultato meno moralmente grave, e dunque meno interessante per lo spettatore medio, se al posto di quel ragazzo ci fosse stata una ragazza? Cosa sarebbe cambiato? A mio avviso avrebbe inciso sull'impressione di plausibilità, sulla sospensione dell'incredulità, da parte del pubblico, che è qualcosa di indipendente dal giudizio di gradimento. Una cosa può essere presa come verosimile pur non piacendo. Ciò che metto in dubbio è il fatto che il film sia efficace nell'intento benigno di far percepire l'equivalenza tra eterosessualità ed omosessualità – ammesso che sia così - , rapportando l'epilogo al prologo wagneriano. Cosa c'è nell'idea comune dell'omosessualità che fa tollerare al pubblico italiano una soluzione tanto forzatamente melodrammatica? C'entra l'ignoranza, detto anche in senso non dispregiativo, ovvero il pregiudizio latente che l'omosessualità sia qualcosa di torbido, di estremamente inconfessabile, il massimo della trasgressione alla morale comune, il fondo nero dell'animo umano. Purtroppo, forse involontariamente, quel finale non fa altro che gettare ombre tediose, e alimentare sentimenti auto-censori sull'omosessualità. Almeno l'artista dovrebbe tendere alla consapevolezza e alla lealtà e dunque ad essere spregiudicato. Trovo sgradevole che si sfrutti il potenziale voyeristico dell'omosessualità. Il film si chiude laddove Kubrick trae spunto per mostrarci il gioco delle apparenze, delle illusioni, sul palcoscenico/scacchiera della vita, in cui l'uomo prende coscienza della propria condizione di pedina. Questo è interessante perché riporta la storia ad una dimensione, ad un significato universale. Qui invece si approda solo alla legge puritana del contrappasso poiché è ciò che predomina su tutto il resto. Non è come la tragedia di Tristano ed Isotta, o di 'Romeo e Giulietta' che s'impone come una inequivocabile lezione morale. Non siamo portati a stare dalla parte dei due disgraziati amanti. Se proprio si vuole far del bene alla causa omosessuale occorrerebbe alleggerire l'omosessualità da quest'aura di morbosità (da morbo. Il fatto di dirsi che non è più malattia, non esclude che sia sentita come malattia). Qui se c'è una responsabilità la dobbiamo attribuire solo alla stupidità umana di cui sono affetti tutti i personaggi. Morale della favola: non siate imbecilli come la maggior parte degli italiani. Non scambiate la lana con la seta. Non date per scontato che l'esposizione di un culo stia per libertà d'espressione. Così i fottuti siete solo voi. Ve la tolgono la libertà invece di darvela. Vi illudono che le cose siano cambiate; che c'è più libertà d'espressione invece non si fa altro che confermare i vecchi modelli sociali. E' il motivo per cui siete ancora governati da un tipo come Berlusconi che riesce a vendervi anche l'aria che respirate, il nulla.

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