Regia di Shari Springer Berman, Robert Pulcini vedi scheda film
Primo adattamento da un romanzo di Jonathan Ames (Io e Henry, Baldini Castoldi Dalai, pp. 334, E 17,50), già creatore della serie Tv Bored to Death, Un perfetto gentiluomo vede, come in Tv, un rapporto di amicizia fra tre sfigati: il mentore eccentrico, il protagonista confuso e l’amico irsuto e irresistibilmente tenero. Al centro della vicenda è Louis Ives, giunto a Manhattan in cerca di sé e affascinato dal travestitismo. Ama immaginare la sua vita come raccontata da un narratore sulle stile dei romanzi di Fitzgerald e diverrà coinquilino e discepolo di Henry Harrison, miserabile aristocratico come il conte Oliver di Alan Ford e “cavaliere della rosa”, ossia accompagnatore di anziane e ricche signore. La coppia di registi, già responsabili dell’intelligente American Splendor dai fumetti di Harvey Pekar, usano inserti simili a home movie e un incipit in costume e soprattutto si affidano al mutevole Paul Dano, all’istrionico Kevin Kline e al buffo John C. Reilly, ursino ma dalla voce acuta e ridicola. Potrebbero essere macchiette, ma sono portatori di un’umanità anomala, forse buffa ma certo non allineata né priva di amarezza, cui Ames (ha un cameo nel locale di travestiti) e i registi non evitano alcuna umiliazione facendone veri eroi dei giorni nostri. E se a volte il film gira a vuoto non lo fa forse anche la vita?
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