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Simon Konianski

Regia di Micha Wald vedi scheda film

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La recensione su Simon Konianski

di Utente rimosso (andreona)
6 stelle

Simon Konianski è un trentacinquenne disoccupato con una laurea in filosofia e poca voglia di lavorare. Dopo la separazione dalla madre di suo figlio, una ballerina spagnola di cui è ancora innamorato, Simon è costretto a  trasferirsi provvisoriamente a casa del padre Ernst, un ebreo osservante di origine polacca residente nella provincia belga e fissato con i racconti sui lager nazisti dove egli stesso fu deportato durante la guerra. Nonostante siano legati da un profondo affetto, i due uomini non potrebbero essere più diversi. Se da un lato Ernst è filoisraeliano e saldamente ancorato alla tradizione, per uno strano scherzo della natura si ritrova ad avere un figlio filopalestinese, ateo e convinto antitradizionalista, al punto da mettersi con una goy (non ebrea). Ernst ingenuamente sogna un buon lavoro per Simon, aspettandosi grandi cose dalla sua laurea in filosofia; d’altro canto Simon non sembra particolarmente motivato a maturare e nel frattempo sbarca il lunario partecipando come volontario ai trial clinici. E mentre l’irriverente protagonista rifiuta ogni legame con il mondo ebraico e alimenta il perenne conflitto con il padre di cui non sopporta proprio la logorrea sull‘olocausto,  il figlioletto Hadrian si mostra molto più rispettoso nei confronti del nonno e talmente appassionato ai suoi racconti, da voler giocare alla Shoah con i compagni di scuola.

Purtroppo questo ‘idillio’ familiare ha i giorni contati; presto Ernst morirà di una grave malattia polmonare causata dal freddo patito durante la prigionia a Majdanek  lasciando al figlio, al paranoico fratello Maurice e alla petulante sorella Mala, il gravoso compito di seppellirlo niente meno che in uno sperduto villaggio dell’Ucraina, accanto alla prima moglie Sara di cui lo sbigottito Simon ignorava l’esistenza. L’aereo però costa troppo e così, per ammortizzare le spese, Simon parte alla volta dell’Ucraina in compagnia del piccolo Hadrian, degli anziani zii e con tanto di salma del padre nel bagagliaio della macchina. Durante il viaggio il ragazzo riceverà una serie di visite del fantasma del padre che si mostra piacevolmente sorpreso dall’inaspettato sacrificio che Simon sta affrontando per rispettare le sue ultime volontà e che accompagnerà il figlio fino a che il suo corpo non sarà sepolto accanto a quello dell’amata Sara. Il funerale decreterà la definitiva riconciliazione tra (quel che resta di) Ernst e il figlio Simon.

Simon Konianski è un’opera piacevole in cui non mancano trovate originali (le felpe con la scritta Baghdad; Simon che preferisce fare da cavia anziché lavorare; il piccolo Hadrian che tenta di giocare a nazisti ed ebrei con i compagni di scuola suscitando grande sgomento tra i presenti; l’immaginario rapporto sessuale tra la ex di Simon e il nuovo compagno brasiliano di lei; la salma di Ernst che cade dal carro; il fantasma del padre che confessa al figlio il suo amore carnale per Sara) e una vena dichiaratamente polemica nei confronti della politica di Israele definita ‘nazista’ dallo stesso Simon. Tuttavia il film è appesantito dagli eccessi caricaturali (lo zio paranoico che vede nazisti dappertutto, Ernst che ricicla le bustine da tè, la famiglia al completo che insiste perché Simon sposi una brava ragazza ebrea, l‘ingenua ignoranza di un modesto artigiano emigrato in Belgio convinto che un laureato in filosofia possa insegnare matematica) che ne smorzano la potenza comica rendendolo a tratti noioso. L’opera non brilla certamente per originalità, il tema del viaggio alla scoperta delle proprie radici come metafora del cammino di maturazione interiore è un terreno già ampiamente battuto (ricordiamo i recenti gioielli ‘on the road’: Ogni cosa è illuminata e il bulgaro The World is Big and Salvation Lurks around the Corner); eppure la disarmante sincerità con cui è raffigurata la tappa a Majdanek, senza mai cadere nella retorica, riscatta l’intero film. A Majdanek Simon si troverà faccia a faccia con il terribile passato del padre e non potrà più esimersi dall‘affrontare la dolorosa storia delle proprie radici che fino a questo momento ha sempre rinnegato.

 Simon Konianski è anche un’opera stratificata che nasconde, dietro la facciata di gag e luoghi comuni, una chiave di lettura tutt’altro che scontata. Ernst è sopravvissuto ai campi di sterminio, ma non è riuscito a sottrarsi alla Shoah che, dopo averlo perseguitato per decenni come un dybbuk, lo ha raggiunto ormai anziano nella tranquilla provincia belga. Forse la sua insistenza nel raccontare un vissuto terrificante serviva proprio a esorcizzare la paura della morte che sapeva essere imminente. Viene in mente la vicenda di Primo Levi, un’altra vittima ‘postuma’ della barbarie nazista e ci si rende conto che l’olocausto, a tanti anni di distanza, miete ancora vittime.

 

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