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Vision

Regia di Margarethe Von Trotta vedi scheda film

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La recensione su Vision

di Piemas1
9 stelle

Non è, evidentemente, molto facile trattare al cinema il XII secolo, che pure fu determinante per la storia e la cultura europea. Questo nonostante la presenza di personaggi importantissimi quale il gran sovrano interpretato da Rutger Hauer nel mediocre polpettone di Renzo Martinelli "Barbarossa", in cui Angela Molina riempie di luoghi comuni e di banalità da operetta la sua interpretazione della mistica patrona dei filologi e degli esperantisti e fondatrice della farmacopea moderna.

Nonostante errori ed imperfezioni, e nonostante diverse deroghe alla storia, quel che da questo film emerge è come Ildegarda era nella realtà: una donna consapevole della sua umiltà ma anche del fatto di essere scelta da Dio, con una sensualità raffinata che mai sconfina  nella sfrontatezza, sempre pronta a difendere 

contro tutto e  contro tutti l'evidenza della preferenza di Dio per questa donna dalla salute cagionevole (soffriva di quella forma di emicrania che definiremmo oggi "classica".

Barbara Sukova, attrice feticcio della Von Trotta e sua complice nel costruire personaggi difficili, dolorosi  e profondamente umani, offre alla Santa proprio la sua profonda e dolorosa umanità, quasi "fisicità", davvero notevole. Il tutto, paradossalmente, per confermare ai suoi antagonisti certezze che, all'inizio della lavorazione, almeno stando alle dichiarazioni, non interessavano particolarmente alla regista (che attribuisce le visioni ad una forma di epilessia seguendo l'opinione di Oliver Sachs), piuttosto poco interessata al suo misticismo e molto più incline a raccontare la contrapposizione (cifra costante nel suo cinema, evidenziata volutamente nel film, con qualche forzatura delle fonti storiche) tra mondo maschile e mondo femminile, tra la Santa e l'abate (con cui, secondo testimoni e biografi, in effetti non vi era amicizia.

                                                                              

A far da contraltare, alcuni personaggi effettivamente esistiti (altri sono inventati, come l'amica d'infanzia Jutta o suor Clara): Volmar, il segretario, il primo confidente e il primo biografo, confessore della comunità (in realtà non era il solo), uomo di fiducia, e qualche volta anche suo contraltare, la cui affabilità e semplicità è ben resa da Heino Fertch. Brava anche la giovane Hanna Hertzsprung (Richardis Von Stade), ma a nostro avviso è l'abate antagonista il migliore della compagnia. Il bravissimo ALexander Held (ricordate l'ispettore nazista di SOPHIESCHOLL - la rosa bianca) gli offre una sottorecitazione efficace, rendendo bene il tumulto morale e la cattiveria di quest'uomo, e offrendogli tratti quasi luciferini..

In tutto ciò, la regia  risulta totalmente al servizio di storia e interpretazioni, e questo non è affatto un male. 

Del resto, quando occorre la Von Trotta non si tira indietro e mostra una insospettabile abilità tecnica nella scena di massa dell'esodo verso il nuovo monastero di Disididemberg, con la carrellata che inizia dal primo piano delle suore fino a tutta la popolazione che si muove, e la camera che, senza alcuno stacco o dissolvenza, stringe nel primo piano della margravia di Stade, prima alleata e poi acerrima avversaria di Ildegarda.

Una nota di demerito va, invece, alla poca diattenzione verso l'aspetto scenografico, utile per dare allo spettatore non particolarmente appassionato di storia (ma anche alll'erudito) informazioni psicologiche sul tempo in cui i personaggi si muovono. A detta della Von Trotta, tale trascuratezza è dovuta alle ristrettezze di budget, ma la Germania è piena di abbazie, anche dismesse, risalenti al tempo di Ildegarda (vissuta tra il 109 e il 1179, epoca di fioritura del romanico e del primo gotico), ed è certo antistorico vedere lei e gli altri protagonisti aggirarsi tra chiostrini con colonnette a fascio in stile gotico internazionale e salette tinteggiate simil - rosso pompeiano, oppure vedere l'abate che, nel suo studio, si balocca con un reliquiario del secolo XI come fosse una scatola di sigari.  

 

 Questi difetti, e la citata forzatura (anche se meno evidente di quanto ci si potesse attendere da Margarethe) non inficiano comunque la sostanziale validità del film, fermo restando che non siamo di fronte a un'opera memorabile. La delusione è nel constatare che, dopo un fugace passaggio al festival di Roma del 2009, qualche distributore non abbia avuto il coraggio di proporre nelle sale un film che, a mio avviso, sarebbe stato accolto abbastanza positivamente dal pubblico, come dimostra la messa in onda nel secondo canale nazionale tedesco e la vendita, seppur solo per la distribuzione televisiva, in tutto il mondo. Inclusi gli Stati Uniti.

 

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