Regia di Gabriele Muccino vedi scheda film
A 40 anni, dopo le tempeste dei 30, i personaggi del film originale (L’ultimo bacio, il film italiano di maggior successo di inizio millennio) si ritrovano sulla soglia di una psicopatologia pericolosa o reduci da un fallimento esistenziale senza appello o, come Carlo (Stefano Accorsi) e Giulia (Vittoria Puccini), a un passo da un divorzio che nessuno dei due sembra aver accettato. Muccino racconta questo intrecciato gomitolo di vite, come se tutti i suoi personaggi formassero un corpo unico e pulsante, con passo febbrile, spinto da ondate di sentimento e risacche di frustrazione. Credo proprio si possa parlare di stile per quelle sequenze a grappolo con le quali, innaffiando generosamente le immagini della musica di Buonvino, l’autore ci mostra tutti i personaggi appesi a un tormento o un desiderio struggente, uno dopo l’altro - e che danno al racconto una scansione ormonale e potente che sorvola il destino di ognuno con destrezza e apprensione. Duramente segnati da quel futuro che avevano sognato con ordinaria baldanza, potranno mai affrontare con maggiore successo l’imminenza di vecchiaia, malattia e morte? Il cinema di Muccino ha una mano più sicura di quando suscitò paurosi dibattiti nel 2000. Ciò ecciterà ancor di più i suoi detrattori. Anche a loro, però, sarà difficile non riconoscere alcuni meriti. Uno. Quando sono con lui, alcuni attori rendono il 50% in più. È il caso di Favino e, per certi versi, anche di Accorsi. Due. La sostituzione della Mezzogiorno con la Puccini (la migliore, insieme a Sabrina Impacciatore) non solo è indolore (dopo un paio di scene nessuno se ne ricorda più) ma dà al film una bussola: dalla rabbia della giovinezza allo scetticismo della maturità. Tre. È un cinema dell’andirivieni di caccia e abbandono, isteria e tenerezza, vulnerabilità e dominio, desiderio inappagato e sazietà insoddisfatta, terrore della responsabilità e bisogno di affrontarla, si getta a capofitto nel caos di pulsioni e ansie ed esplosioni di felicità o di rabbia, che è la vita allo stato puro, ovvero quando è così intensa da essere indigeribile, quando nessuno è in grado di governarla o possederla. Il film è così eccitato e spaventato ed emozionato che salta sulle immagini come fa Muccino sulle parole. Il gusto della ferita, dell’ironia, del sarcasmo, appartiene all’italian style del nostro cinema, ma questo romanticismo selvaggio, disperato, stordito e torrenziale è roba nuova che ci ha portato dentro lui.
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