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The Alphabet

Regia di David Lynch vedi scheda film

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La recensione su The Alphabet

di EightAndHalf
9 stelle

L'incubo con la I maiuscola, il primo incubo di Lynch, dopo il corto sperimentale "Six Men Getting Sick".
Una bambina coricata, e un coro, forse proveniente dal suo sogno, pronuncia "ABC" con voce criptica, come se l'innocenza delle loro voci nascondesse qualcosa. E' l'immagine con cui Lynch avverte che parlerà del sogno, parlerà di ciò che è dentro di noi ed esce, vuole uscire, come un virus che si è stancato di fare il parassita. Il mostruoso fascino di una donna che ci fissa, con occhiali scuri da sole che, rivolti verso il vuoto (verso di noi? verso la bambina?), scrutano la reazione, senza provare paura. Assistiamo freddi alla successione di un incubo, come fosse qualcosa di normale. 
In un disegno da bambini le lettere si dispongono divertite in nuvolette o riquadri di diverso tipo, e il cielo lentamente (tecnica dello stop-motion, nello stile dei cartoni animati cecoslovacchi dell'epoca) si colora di tutti i colori. L'infanzia, i colori gioiosi dell'infanzia. Com'è vergognoso che l'incubo debba colpire anche questa innocenza. L'oscenità, un cerchio, una lingua cattiva e maligna che lancia versi gutturali di godimento meccanico e crudele. Saliamo nella strettoia per aprirci all'ignoto, e subito l'ignoto ci colpisce. L'ignoto del buio, dell'incubo, appunto. Cos'è rimasto di quella innocenza?
L'incubo sessuofobico esplode, una grande A dà alla luce delle piccole a, partorendo e perdendo sangue. La a piagnucola, nel suo corpo baconiano. Cresce, è destinata a crescere, l'alfabeto rimarrà nella sua testa come quando l'ha imparato. "Please remember". Soffri, uomo, eri giovane, non sapevi le paurose cose della vita, come possono corrompersi, come possono diventare crudeli. Le lettere impazziscono, una voce accogliente le ripete, dopo che alla fanciulla cresciuta del sogno sono sanguinati gli occhi. La bambina viene trascinata incontrollatamente nella sua stanza, esattamente dove stava facendo il sogno, e la trascinano quelle lettere imparate da bambina, come a voler accelerargli la crescita e farla impazzire. La vita è un morbo, che colpisce il cervello, il cuore, tutto, e fa vomitare un sangue addolorato.
Forse non c'è bisogno di spiegazione per questo secondo corto geniale di David Lynch. Eppure è premonitore, anticipa quello che sarà l'incubo del suo cinema, anticipa la sua maturità artistica, che scaverà e indagherà nel dolore straziante del vivere. Un Lynch che non si è potuto godere l'innocenza dell'infanzia cinematografica, poiché già consapevole dell'orrore.

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