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L'armée du crime

Regia di Robert Guédiguian vedi scheda film

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La recensione su L'armée du crime

di carlos brigante
8 stelle

Il Festival Amidei 2010 ha conferito il Premio all'opera d'autore al regista Robert Guédiguian; ha proposto una retrospettiva in suo onore e ha presentato in anteprima nazionale (?) la sua ultima creazione, fuori concorso a Cannes 2009, “L'armée du crime”.
Il regista, presente in sala per ritirare il premio, ha chiarito sin da subito, in un buon italiano, il motivo che lo ha spinto a girare questo film. Egli ha paura che con la morte dell’ultimo dei partigiani, venga meno anche lo spirito e la testimonianza diretta di quel periodo; degli uomini che hanno combattuto in nome di un ideale contro la folle ideologia nazista. Teme, perciò, che col passare degli anni e con la morte dei “testimoni oculari” sia più semplice demistificare la storia e lasciarla in mano alla “logica” revisionista. Il cinema, quindi, parafrasando Godard, può diventare l’unica (grande) storia possibile. L’unico mezzo di espressione per ricordare e non dimenticare; per riflettere e da tramandare in maniera attiva ai posteri.
 
Guédiguian porta in scena le vicende di un gruppo di immigrati, 22 uomini e una donna, che hanno lottato, venendo giustiziati, contro la Germania e contro quella (parte della) Francia collaborazionista che vigliaccamente ha seppellito sotto una coltre di vergogna e ignavia i propri ideali di libertà e uguaglianza. Il regista franco-armeno non fa di ogni erba un fascio; racconta semplicemente un pezzo di storia, chiaramente filtrato dalla sua estrazione comunista. Ridà voce al passato per riflettere su un presente attraversato da una sempre più persistente decadenza di valori. Non è, poi, assolutamente casuale la scelta di raccontare una vicenda i cui protagonisti sono degli immigrati, dei non francesi quindi. La patria dei diritti dell’uomo è stata abbandonata e tradita da molti suoi compatrioti. Un manipolo di “cittadini di serie B” costituito da italiani, spagnoli, ungheresi, ebrei, polacchi, si immola nel nome della libertà. Chiaramente non tutti agiscono alla stessa maniera e ognuno ha il proprio vissuto personale che lo ha portato fino a qui. Guédiguian, infatti, si mantiene distante dall’elegia e mette in scena un “dramma degli esclusi” dove la dimensione personale di ogni singolo personaggio si interseca alla perfezione con la storia d’insieme in un lungo flashback carico di tensione.
Il poeta armeno Manouchian (un monumentale Simon Abkarian) è il faro attorno al quale si muovono gli eventi. Un uomo combattuto tra il proprio senso etico e i terribili avvenimenti che minano la sua morale. Un armeno sopravvissuto al terribile genocidio del suo popolo che ha sterminato la sua famiglia; che non dimentica e non smette mai di ricordare le proprie radici… molto probabilmente come Guédiguian stesso…
 
Questo è un cinema che non ricerca alcun colpo ad effetto e che ha il coraggio di presentare uno squarcio terribile della nostra storia contemporanea. Un cinema “militante” che non rifugge di esternare il proprio punto di vista. Un cinema che, guardando al passato, riflette inesorabilmente sulla decadenza della nostra società in crisi di valori. Un cinema che riafferma l'importanza e la necessità della coesione interculturale troppo spesso messa in discussione da interessi particolari e dove, a seconda del vento che tira, i martiri della libertà diventano armate del crimine e viceversa.
Umano ed umanizzante!
 
 

Cosa cambierei

8

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