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La bohème

Regia di Robert Dornhelm vedi scheda film

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La recensione su La bohème

di spopola
4 stelle

Ipertrofica e deludente messa in scena della “Bohème”. Robert Dornhelm sarà stato (forse una volta) un talentoso uomo di cinema, ma a vederlo “all’opera” (sarebbe il caso di dire “giocando” sulle parole) con Puccini, non si direbbe proprio. Deprecabilmente “conforme” il risultato con la fissa del “grandeur” insomma (sfido io! Con tutti i soldi che gli hanno messo a disposizione!!!) e qualche pretenziosa licenza di percorso per far sembrare di aver qualcosa di nuovo da dire di fronte al vuoto pneumatico delle idee (come la “scopata” pre-Momus con la Mimì che prende impudicamente l’iniziativa e si “concede” senza por tempo in mezzo - e c’era da aspettarselo, visto che in fondo fin dall’inizio lo “voleva” proprio quell’incontro… come le immagini stanno a testimoniare - così che Rodolfo, come spesso gli uomini che credono di essere loro a “tirare” le fila e il gioco della seduzione, con la chiave nascosta, la candela spenta, il tocco furtivo della “gelida manina “, diventa quasi uno che un po’ “viene messo in mezzo”, no?… al quale forse poi non gli si può imputare una punta estrema di gelosia vista la facilità con cui ci è finito a letto). Scusate il tono fra lo scherzoso e il derisorio, ma io francamente non sono riuscito a capire il senso di questa produzione “monstre” al servizio dei due divi (della lirica) del momento, poiché nemmeno la parte “prettamente” musicale era poi gran che… ma su questo magari ci ritorniamo dopo, visto che di cinema si parla e che una “trasposizione in immagini” definita appositamente per lo schermo deve essere valutata anche per questo (altrimenti possono essere esaustive le ormai spesso “straordinarie” riprese in dvd direttamente dalla scena dove per lo meno c’è il pathos dell’esecuzione in diretta che qui invece latita (e fa diventare persino meccanicamente esornativa la direzione orchestrale tenuta in sottotono per dar maggior risalto al canto, così “sonoro” da far emergere forti dubbi su una possibile “amplificazione” in atto, tutto virato al “forte” e spesso fastidiosamente privo dell’appropriato fraseggio delle mezze voci). Siamo insomma lontani (limiti evidenti del “manico” o mancanza di “ispirazione” costruttiva?) dallo straordinario “Don Giovanni” di Losey o dal “Flauto magico” di Bergman… ma anche dalla solo un po’ folcloristicheggiante, ma affascinante “Carmen” di Rosi, o persino dall’interessante risultato raggiunto da Benoit Jacquot con “Tosca” (inventivo e “coraggioso” tentativo di “sdoganare” una visione anomala oltre il palcoscenico, e non solo un “esercizio di stile” al servizio di un altro trio di “primedonne” come la Gheorghiu, Alagna e Raimondi). Qui siamo semmai dalle parti del “calligrafismo” barocco alla Zeffirelli (che però proprio con la “Bohème” alla Scala tantissimi anni fa aveva trovato – una volta tanto – il senso e la misura giusta),dell’oleografico laccato e inerte… Per carità… “impeccabile” ricostruzione di cartapesta piena di “neve e gelo” quanto conviene (anche se il conto del Caffè Momus esibito al termine dell’atto di riferimento, sembrava più simile a un odierno scontrino fiscale – almeno nelle dimensioni - che non a una vera e propria ricevuta stilata a mano riportabile agli anni e ai tempi del “riferimento storico”). Non basta però a fare “arte” l’abusato vezzo di “passare” dal bianco e nero al colore, o qualche sovrimpressione di troppo fra ricordi visualizzati e differenti angolazioni di prospettiva per far rientrare insieme nella stessa immagine i due protagonisti, oltre che una certa filologia “ricostruttiva” dei costumi. Quisquilie ovviamente (ma lasciatemi sfogare un poco) perché l’insoddisfazione va ben oltre questi particolari che qualcuno bollerà come secondarie “annotazioni”. Mi spiego meglio: è certamente anacronistico, per lo meno dal mio punto di vista (e sicuramente fastidioso per quanto attiene la inevitabile freddezza del risultato, nonostante l’encomiabile “aderenza” del movimenti labiali dei “doppiatori” in scena) che si faccia un connubio mischiato (come era in uso un tempo) fra i cantanti veri e propri, “immortalati” anche come interpreti (Villazón e la Netrebko) e molti degli altri “personaggi” pure fondamentali in un’opera come questa, divisi in due fra “voce” – di un cantante – e presenza scenica affidata alla verve di un attore). Si perde principalmente l’immediatezza del rapporto.. tutto diventa più artificioso e sforzato, e si smarrisce il coinvolgimento partecipativo dell’emozione che è fondamentale, se persino la coralità dell’opera perde di immediatezza e un po’ si sfalda. Perché qui tutto è “gridato”, sopra le righe, e parlo della mimica e dei movimenti così espansi, da diventare spesso un pò molesti ed esibiti, quasi “grotteschi”. Poi c’è la “frammentazione” visiva, che impoverisce e annulla persino l’impatto con la magnifica composizione dell'insieme, per la sua struttura a incastro, del secondo atto (qui molto “bozzettistico” il risultato pratico, proprio per come sono articolate le riprese e le immagini) che incide pesantemente persino sulla coerente “fruizione” della musica. Ma va ancor peggio nel terzo atto, al momento della “geniale” separazione “incrociata” delle due coppie, che qui diventa quasi una sovrapposizione “esterna” di due “differenti momenti” casualmente "ricuciti" insieme, quasi a montaggio alternato, con un invero non troppo bello primo piano finale di Marcello/Musetta che fa da cornice alle più lontane “sagome” di Rodolfo/Mimì, che poteva esserci risparmiato!. Ma si potrebbe andare avanti a lungo a citare i “disagi” suscitati da certe scelte ed altrettante “soluzioni” poco felici.. aggiungo solo le braccia nude fino alle ascelle (senza che nessuno glie le copra) di Mimì nella scena finale (sfido che aveva “le mani allividite”… ma ci voleva qualcosa di più di un manicotto per riscaldarla tutta…). Concludendo, “molto folclore” da trovarobato scenico e poca “sostanza”… e questa volta - visivamente parlando - nemmeno i due protagonisti “funzionano” quanto sarebbe necessario (non si raggiunge infatti il sorprendente amalgama emotivo della “Traviata” in DVD con la regia di Decker…- ma quella era una ripresa dal teatro e allora forse una spiegazione c’è - dove erano straordinari ed appropriati, empatici al punto giusto, tanto da supplire magnificamente con i “corpi e i movimenti”, con le loro azioni in perfetta aderenza alle linee innovative di una geniale “rilettura interpretativa”, persino alle non sempre del tutto conformi “linee di canto richieste dalla partitura”, che invece emergevano spesso come difetti disturbanti se ci silimitava al solo ascolto dell’esecuzione discografica). Qui l’effetto è “straniante”, sicuramente fortemente deconcentrante di fronte a un Villazón che fa un Rodolfo decisamente stereotipato nei movimenti e nelle espressività forzose di una mimica a effetto, oltre che così macilento e dimesso “fisicamente” (poco fascinoso insomma e quasi “tisico” d’aspetto come se si fossero invertite le parti) da sembrare, con i suoi strabuzzamenti d’occhi, molto vicino a ciò che si definisce (dalle nostre parti) “un chiù sull’ellera” che non è certo un complimento. Viceversa, la Netrebko risulta troppo in “carne” e paffutella (il ritratto della salute), tanto che necessita di un trucco fortemente esposto, quasi espressionista e un po’ troppo “vampiresco” per “emaciarla” (“tisicizazzarla) fra pallore, occhiaie, capelli scarmigliati e sbavature del trucco che la avvicinano davvero troppo a “una sposa di Dracula” (tanto da rendere perfettamente comprensibile il movimento di “sottrazione un po’ impaurita” della donna alla quale chiede di “chiamare Marcello”, quasi che avesse davvero paura di essere morsicata sul collo..). Ecco ce l’ho fatta… ho “sparato a zero” su tutto e tutti (come, dal mio punto di vista, mi sembra giusto fare per la tanta presunzione che traspare). Diciamo che mi sono levato un peso dallo stomaco!!!. Della pochezza della direzione orchestrale scarsamente innovativa e solo “sdolcinata” , sicuramente poco “affascinante”, ho già accennato… e delle voci poi che dire? Forse sono ciò che di meglio oggi si può trovare sul mercato in questo campo, non lo metto in dubbio… e probabilmente “sentite” e “viste” in teatro… con lo stimolo e il rapporto diretto della presenza di un pubblico che fa la differenza, potrebbero egregiamente funzionare a meraviglia… suscitare persino “l’applauso entusiasta”. Qui però sono sempre troppo “potenti” (ricordate il dubbio sopra espresso riguardo l’amplificazione?) per essere "soddisfacenti, e stilisticamente non in ogni passo appropriate…direi persino insufficienti a “penetrare” davvero i personaggi, solo a tratti capaci di trasmettere la commozione necessaria, indispensabile sempre e comunque per non fare semplice “routine” con un’opera come questa dove il “sublime” può facilmente scivolare nel patetico melenso (e il passo è breve)…. Magari “vocalmente” meno azzeccata allora, ma complessivamente più accettabile (e con minori sprechi rispetto a questo faraonismo esasperato) la più modesta e decorsa rilettura Commenciniana di qualche anno fa. Lascio poi ad altre penne volonterose il compito di “commentare”. Se lo vorranno l’ultima zummata “terminale” su quel “letto di morte” che a me è sembrata davvero un’orrida trovata per concludere il salmo tutt’altro che in gloria.

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