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Oxford Murders. Teorema di un delitto

Regia di Alex de la Iglesia vedi scheda film

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La recensione su Oxford Murders. Teorema di un delitto

di scapigliato
8 stelle

Se i titoli precedenti di Álex de la Iglesia sono delle esaltazioni estetiche del grottesco e del non-convenzionale, quasi una diabologia cinematografica sulla mutazione del corpo, la sua corruzione, e la sgrammatizzazione dell'anima, senza più radici linguistiche certe, The Oxford Murders adotta registri nuovi, senza perdere di vista la Verità, quella maiuscola, che percorre l’opera per intero.

Cast eterogeneo, linguaggio internazionale, de la Iglesia fa il suo film, con delle bellissime scene erotiche, con una regia impeccabile, una solida sceneggiatura di ferro, dialoghi stupendi, un film verboso ma non noioso, una direzione artistica ispiratissima, inquadrature e registri narrativi azzeccati.

L'inizio logorroico è già cult, con il battibecco, una vera revolverata, tra madre e figlia. Il piano sequenza che anticipa il primo delitto, se non è un omaggio ad Hitchcock e al suo cinema, è sicuramente la prova linguistica con cui de la Iglesia suggerisce l’atmosfera e lo sguardo autoriale del film. Le scene di sesso, gli inserti squisitamente horror, le inquadrature evocative, la fotografia in parte denatura e in parte calda e avvolgente, il corpo mutilato del vecchio matematico impazzito, la scolaresca dei ragazzi down, le distorsioni della quotidianità, i folli, le maschere, gli storpi, i pazzi, insomma tutto il campionario esperpentico del regista trova il suo posto anche in una pellicola esteticamente lontana da quelle carnevalesche con cui esordiva a metà anni novanta.

Álex De la Iglesia, decostruttore del corpo fisico come del corpo testuale, da sempre fa della bidimensionalità del grande schermo la tridimensionalità dell'oggetto osservato. Un cubismo cinematografico postmoderno che non viene tradito nemmeno nella trasferta inglese, dove l'enigma, l'articolazione, la confusione e la ricerca filosofico-matematica dell'assassino, sono i termini con cui (ri)leggere il percorso dell'Uomo Razionale che si disfa nel riconoscersi Uomo Ambiguo, da alienato a schizofrenico, frammentario, sfaccettato, pluridentitario

Anche un profano come me del Trattato Logico-Filosofico di Wittenstein può comprendere i poli su cui si gioca la partita. E sul finire del film ci accorgiamo che conta molto di più aver letto Agatha Christie – The ABC Murders per l'esattezza – che il testo del celebre matematico. Un film che si risolve nel mistero, ipotizzandone uno maggiore.

Basato sul romanzo omonimo dell'argentino Guillermo Martinez, matematico e scrittore, de la Iglesia opponendo narrativamente Elijah Wood e John Hurt oppone filosoficamente la logica matematica, come chiave interpretativa della vita, all'impossibilità di conoscere e dimostrare la verità. Si arriva anche a parlare del delitto perfetto, che non è quello che rimane irrisolto, bensì quello che viene risolto in modo sbagliato. Questi Holmes e Watson accademici rifanno il verso al dualismo investigativo che anima i duelli tra i sostenitori del classico giallo ad enigma, la cui indagine è condotta da un luminare della razionalità, e tra i sostenitori del noir, dove al posto della razionalità trova cittadinanza il dubbio, l'ambiguità, l'intimismo dei personaggi, l'esistenzialismo e dove non è assicurata la svelazione del mistero né il lieto fine.

Questi indagatori dell'impossibile meandro filosofico sono due attori diversissimi per età, nazionalità, scuola cinematografica ed appeal, ma entrambi, nelle loro differenze, sanno essere uno lo specchio deformato dell'altro. L'americano Elijah Wood, perfettamente in parte, sfida in bravura l'istrionico inglese John Hurt, che gigioneggia e sfà con naturale infernalità. C’è una sorta di attrazione e ripulsione reciproca che svela una leggera tensione omoerotica tra i due personaggi, sottolineata anche da come la macchina da presa segue il corpo acerbo di Elijah Wood. Un gioco quindi di specchi, rimandi e rapporti dualistici che innervano il sistema dei personaggi e fanno da mise en abyme dell’ambiguità di fondo del film.

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