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Il matrimonio è un affare di famiglia

Regia di Cherie Nowlan vedi scheda film

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La recensione su Il matrimonio è un affare di famiglia

di mc 5
8 stelle

"Quella non è una donna...è un incubo!" Ecco. In queste parole pronunciate da una biondina dal viso d'angelo sta il giudizio oggettivo che si puo' dare dell'attrice-mattatrice inglese protagonista di questa pellicola, Brenda Blethyn. Ma prima va detta subito una cosa, a scanso di equivoci. Nella campagna promozionale di questo film viene puntualmente tirato in ballo il riferimento a "Little Miss Sunshine": beh, scordatevelo, non è assolutamente vero, i due film non si somigliano per nulla. Ci vuole uno scemo ad affiancare due film diversissimi solo perchè hanno entrambi trionfato a due diverse edizioni del Sundance. Detto ciò, il film io l'ho trovato freschissimo e ampiamente godibile. Tutto funziona splendidamente, dalla sceneggiatura alle (importanti, come vedremo) scelte musicali e agli attori...con un unico problema: la debordante invadenza di Brenda Blethyn, della quale dire che "gigioneggia" è un timido eufemismo. Diciamo che la sua impronta leonina condiziona tutta la pellicola, a tratti in modo soffocante. Poi, vabbè, a qualcuno questo tipo di recitazione così "mattatoriale" potrà pure piacere e perfino per qualcun altro diventare l'effetto trainante del film, okay, ma questa è una pellicola che vive anche di altre luci...per esempio di un cast efficacissimo composto di volti australiani a noi sconosciuti ma di grande resa espressiva. La storia è simpatica e tutto sommato anche piuttosto originale. Una signora di mezza età che per anni ha calcato i palcoscenici con monologhi di cabaret satirico, cade un po' in disgrazia e dopo la separazione dal marito si ritrova a campare facendo umili lavoretti da cuoca, tirando su con dignità e rigore due figli di cui uno è disabile. Detta così potrebbe quasi sembrare un orgoglioso personaggio femminile di Ken Loach, vero? Beh Loach c'entra poco, ma ci potrebbe anche stare data la nazionalità inglese del nostro personaggio, trasferitosi a suo tempo in Australia per amore del marito. Sì, perchè produzione e ambientazione sono rigorosamente targate Australia. Piccola parentesi che apro per evidenziare la distanza fra il titolo originale ("Clubland") e quello (stupidamente banale) appioppato dalla distribuzione italiana: secondo me certi titoli cretini vengono attribuiti, qui da noi, nell'intento di accalappiare signore attempate e romantiche coppiette sempliciotte... Dunque dicevamo di questa madre di famiglia la quale è anche "madre-padrona", sicchè quando uno dei due figli viene coinvolto in un flirt con una coetanea, la mammina dà i numeri, percependo il timore di perdere un pò della sua autorità e del suo controllo sul figlio. Ecco, questa è la base della commedia, che poi si evolve con sviluppi forse prevedibili ma comunque efficaci e simpatici. Il tutto sempre all'ombra della massiccia presenza della protagonista, la quale, giusto per farci tenere a mente che trattasi di "animale-da-spettacolo" infila una serie sfiancante di scene madri che la vedono imporsi in tutta la sua straripante personalità. E fra l'altro è curioso vedere l'intensità dell'acido disprezzo che la sceneggiatura le fa assumere quando dichiara guerra alla (splendida!) ragazzina di cui il figlio s'innamora. Uno dei personaggi piu' belli è il suo ex marito, anche lui con un passato da performer (cantante "country-crooner" con qualche vaga rassomiglianza con Johnny Cash) che in privato continua a coltivare la sua passione per la musica country-melodica nonostante le esigenze economiche lo abbiano costretto al piu' prosaico mestiere di guardia giurata in un supermercato: lui è tratteggiato con generosa umanità e un lieve tocco di malinconìa. Ma una delle cose piu' riuscite del film (forse la migliore) è come la sceneggiatura rappresenta la storia d'amore tra il figlio della donna e la sua fidanzatina, storia che non esclude affatto anche approcci sessuali realistici, ma il tutto reso con una grazia e una delicatezza assolutamente stupefacenti. E adesso, vi prego, non ridete di me, ma...sarà che l'età me lo consente, ma vedere questi due ragazzini, assistere ai meccanismi delle rispettive psicologie (lei disinibita e consapevole, lui ansioso e imbranatissimo alle prese con la sua "prima volta"), mi ha provocato una tenerezza infinita, e ho osservato le loro reazioni arrivando quasi a commuovermi, immaginando che quei due ragazzi potevano essere miei figli. Si tratta di due giovani attori che finora hanno fatto solo lavori televisivi, Khan Chittenden ed Emma Booth. Emma in particolare mostra una naturalezza e un talento davvero speciali e inoltre possiede un incantevole viso d'angelo. Credo proprio che i detrattori ("in servizio permanente effettivo") dei film provenienti dal Sundance stavolta avranno pochi appigli dato che la vicenda è ben scritta e ricca di personaggi, quindi siamo ben lontani dal quadretto minimalista che solitamente i suddetti detrattori additano. A parte la protagonista inglese tutti gli altri (regista, attori, sceneggiatore) provengono dalla televisione australiana ed è un debutto nel Cinema nato sotto i migliori auspici visti i consensi riscossi al Sundance e altrove. Un cenno alla colonna sonora non puo' mancare, dato che si tratta di scelte davvero importanti. Basti dire che la sigla musicale degli spettacolini messi in scena dalla protagonista è uno dei brani piu' di culto dell'intera storia del rock'n'roll: "I'm a man" di Bo Diddley. Ma vi compaiono anche classici di Janis Joplin e Little Richard. Personalmente, ho poi avuto uno scatto di adrenalina quando ho sentito partire all'improvviso le note dell'immensa "Show me" del mitico Joe Tex. E, per completare il quadro, immaginatevi un finale travolgente in cui la protagonista intona una scatenata versione di un superclassico del rock quale "Nutbush City Limits". Per concludere, vi dovete beccare una riflessione che mi è stata suggerita dalle scene in cui la protagonista porta in giro in localini non proprio elegantissimi il suo spettacolino di cabaret e satira. Assistendo a quel florilegio di battute spesso molto acide, viene in mente il "top" della satira da intrattenimento americana, uno dei miei idoli, il compianto Lenny Bruce. E fa un pò tristezza pensare che negli USA la sua eredità è rimasta senza pretendenti, sospesa nel vuoto. Per non parlare poi dell'Italia, paese dove, dopo la scomparsa di Gaber e il declino di uno sbiadito Paolo Rossi, oggi siamo invasi da una caterva di cabarettisti inutili ed irrilevanti, resi popolari da due programmi tv di successo ("Zelig" e "Colorado Cafè") che hanno ammazzato la satira, rendendola inoffensiva e puramente macchiettistica. Con le sole eccezioni (che confermano la regola) di Daniele Luttazzi e Sabina Guzzanti.
Voto: 10

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