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La ragazza con la cappelliera

Regia di Boris Barnet vedi scheda film

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La recensione su La ragazza con la cappelliera

di EightAndHalf
7 stelle

La ragazza con la cappelliera segnò l'esordio alla regia di Boris Barnet. In realtà fu il suo primo film "e mezzo", considerando la coregia in Miss Mend [1926] con Fyodor Otsep, ma è la prima opera in cui il regista sovietico si firma da solo, e il risultato per quanto immaturo è di pregevole fattura. Barnet impianta l'entusiasmo e l'urgenza dei maestri sovietici (Ejszenstein, Dovzenko) in un canovaccio da commedia romantica, in cui l'equivoco, il riscatto e l'amore sono al centro. Però non è tanto per la trama, ovviamente, che si distingue il film di Barnet, quanto semmai per l'audacia del montaggio e per il sarcasmo grottesco e pungente con cui sa inquadrare un certo tipo di società, finto-benestante, che si prende gioco dei poveri lavoratori. La giovane Natasha, infatti, realizza cappelli con le sue stesse mani, e, poiché vive in campagna, è costretta ogni giorno a spostarsi a Mosca dove vende i suoi cappelli a Madame Irène, una modellista che la sfrutta in svariate maniere, per esempio utilizzando la camera che Natasha ha affittato per le proprie ridicole festicciole. Mentre Natasha conosce e si innamora gradualmente del giovane studente Ilya, cui offre come posto dove stare proprio la camera affittata da Madame Irène, il marito di quest'ultima regala alla giovane artigiana un biglietto della lotteria che si scopre essere vincente, al ché subito egli si mette in testa di doverla raggiungere e di doverle sgraffignare il bottino. Nel frattempo un giovane gendarme campagnolo si innamora di Natasha..

 

Insomma, la trama è ingarbugliata nella migliore tradizione della commedia occidentale (a tratti quasi slapstick), cui Barnet deve aver guardato per emularla in verve e sagacia. Oltretutto l'intervento quasi deus ex machina del premio della lotteria sembra strizzare l'occhio a chi aveva visto Greed di Stroheim, di tre anni prima. Però l'attenzione per i dettagli, i primi piani, le sovrimpressioni e il ritmo è figlia delle esprerienze dei suoi compatrioti registi (di un anno dopo sono ArsenaleOttobre). In particolare, colpisce la messa in berlina dei due proprietari dell'atelier, e anche l'audacia (precoce, considerando i tempi) di certe situazioni: quando Natasha si ferisce alla mano, e Ilya gliela bacia per curarla, immediatamente la ragazza si procura una ferita al labbro, per fare intervenire l'innamorato; perso l'ultimo treno, Natasha e Ilya sono costretti a dormire sotto lo stesso tetto, e si lanciano occhiate incuriosite l'un l'altro provocandosi a vicenda. In altre circostanze, l'impronta slapstick si fa più irriverente, come nell'inseguimento finale e nel combattimento fra il gendarme e il marito di Madame Irène. Infine, in alcune sequenze, si fanno evidenti piccole ossessioni (spesso in primo piano mani e piedi, o specifiche parti del corpo), che paiono anticipare una concezione del cinema che è più sensuale e sensoriale, che non attenta allo sviluppo coerente di una trama. Come quando Barnet dispone la cinepresa sul treno, e sembra capovolgere l'Arrivo del treno dei Lumière ponendo al centro del scena ciò che avviene fuori dal treno, e "allontanandosi" dunque dalla scena (uno schema che ripete anche in altre sequenze). 

 

Un piccolo splendido gioiello da recuperare e meritevole di attenzione. 

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