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La Señal

Regia di Ricardo Darín, Martin Hodara vedi scheda film

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La recensione su La Señal

di OGM
8 stelle

Noir argentino all’americana. Forse è solo un esperimento stilistico. O forse, invece, l’imitazione si limita all’aspetto formale.  L’attore Ricardo Darín, qui in veste di regista, e l’esordiente Martín Hodara, dedicano allo scomparso Eduardo Mignogna il film basato sulla sua ultima sceneggiatura: quella che, poco prima di morire, aveva appena finito di scrivere. In superficie, si presenta come una classica storia di gangster, detective e belle ereditiere, ambientata nella Buenos Aires del 1952: un languido intreccio di amore, violenza ed avidità, che si consuma a fuoco lento sullo sfondo di una nazione raccolta attorno al capezzale della morente Eva Perón. Corvalán e Santana sono due investigatori provati abituati ad affrontare casi complessi ed ambigui, che toccano quasi sempre questioni a sfondo politico, riguardanti le tensioni sociali, le lotte sindacali, i poteri occulti. Sporche faccende che in fondo li disgustano, ma che comunque danno loro da vivere.  Un giorno, però, Corvalán riceve, dalla giovane ed affascinante Gloria Ravél, un delicato incarico che finisce  ben presto per spezzare in lui quella corazza di cinismo che, fino a quel momento,  gli aveva permesso di esercitare la sua professione con il dovuto distacco emotivo. Il suo socio Santana lo mette in guardia dal pericolo insito in quella inopportuna relazione sentimentale, ma Corvalán non torna indietro. Il film descrive le fasi di un fatale ed inarrestabile coinvolgimento affettivo, uno di quelli in grado di cambiare la vita e distruggere la carriera. Questa, tuttavia,  è soltanto la parte più appariscente di un discorso - nascosto nel sottotesto, ma rivelato dal titolo – che rappresenta l’anima autenticamente sudamericana di questo film. La politica, quell’oscuro e perverso sistema preposto a governare una terra drammaticamente divisa tra ricchi e poveri, si traduce, presso il popolo, in una passione viscerale: un impulso che è più fisiologico che morale, e nel quale ciò che si crede si confonde con ciò che si ama e si sogna, ciò a cui è bello potersi abbandonare. Il fenomeno parte da quel truffatore, emulo di Robin Hood, che froda una proprietaria terriera per distribuire il bottino tra i contadini, per  estendersi ai grandi movimenti di massa, indirizzati verso gli ideali  rivoluzionari o verso la collettiva adorazione della leggendaria Evita. L’argentino è un uomo che combatte col cuore: il suo battito è scandito dal ritmo largo e trascinante del tango, che, sotto una veste sobria,  lascia trapelare il fuoco del desiderio. La verità è ciò che si esprime senza parole, che resta disciplinatamente coperto dal  silenzio finché la pressione dell’intimo non lo fa affiorare dai bordi dell’animo. È un indefinibile istinto che decide il destino, e sinistramente lo anticipa. È l’origine di quell’enigmatico segnale che ci fa presentire l’imminente arrivo di una decisiva svolta. Per dirla con Santana: “Alcuni dicono che può essere una parola, un gesto, uno sguardo. Altri dicono che è qualcosa di interno, che viene dal profondo. Un segnale e tutto cambia. No, anzi.  Uno cambia e fa cose che prima non avrebbe mai  osato fare.”  Questo è ciò che accade a Corvalán. È la forza irrazionale di un’attrazione che diventa irresistibile quando si mescola con la compassione, con il dovere di prestare soccorso ad una donna vittima di un marito autoritario e del suo criminale entourage: una ragazza priva di mezzi andata, per necessità, in sposa ad un boss della mafia.   La scelta di Corvalán  fa parte di una battaglia per la felicità, che investe anche la coscienza etica.  E comporta il coraggio di dire addio alla propria vecchia vita. Il cinema latino è pervaso dal doloroso senso del passaggio: dal rimpianto per il molto che finisce e dalla commozione per il poco che resta. Il tango, d’altronde, è soprattutto un canto nostalgico. Tengo miedo del encuentro con el pasado che vuelve a enfrentarse con mi vida. Il testo di Volver ci ricorda che guardarci indietro fa tanto male. Soprattutto quando il nostro amico è morto. E in tasca ci è rimasta solo l’ultima sigaretta. 

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